Nel 1973, il mondo respira con l’accordo che mette la parola fine all’inutile guerra del Vietnam, ma resta a piedi per la prima crisi energetica della storia. Negli stessi mesi l’olandese Johan Cruijff vince il “Pallone d’Oro” e i Pink Floyd pubblicano un album destinato alla storia del rock: “The Dark Side of the Moon”.
In Italia, il lato oscuro della luna arriva con la nascita del “Redditometro”, termine odioso che indica uno strumento di accertamento sintetico del reddito che consente al Fisco di accertare i guadagni dei contribuenti in base alla loro capacità di spesa. Codificato in norma primaria dal governo Renzi nel 2015, è stato abrogato dal primo governo Conte nel 2018, che pretendeva un cambio di rotta con un nuovo decreto in grado di assicurare maggiori garanzie ai contribuenti.
Ma ora, per il redditometro è arrivato il momento di finire nuovamente nell’archivio della storia fiscale italiana, anche se solo all’apparenza, perché in realtà l’accertamento induttivo sul reddito voluto da DPR 600/1973 torna solo in letargo, per poi tornare con altre definizioni sotto mentite spoglie. Ma tant’è: quello che secondo il ministro Salvini è “uno strumento intrusivo di un fisco nemico di cittadini e lavoratori”, è stato accantonato dal Consiglio dei Ministri al grido di “Lasciamo lavorare gli italiani perbene, assicurando che ad essere individuati e puniti - senza sconti - siano coloro che non hanno mai dichiarato niente. Una misura di buonsenso, bene così”.
Un’ondata di entusiasmi e proclami a cui al momento manca solo la voce del viceministro Maurizio Leo, autore qualche mese fa del timido tentativo di riesumare il redditometro in versione aggiornata & rivista che ha scatenato l’inferno solo a pronunciare un termine che sfiora la blasfemia fiscale.
Fra i più soddisfatti Francesco Filini, responsabile del programma di FdI: “L’abolizione definitiva del redditometro e del sistema del grande fratello fiscale introdotto dai governi di sinistra, è l’ennesima buona notizia per i contribuenti italiani. Il vecchio e odioso redditometro viene infatti sostituito dal “ladrometro”, uno strumento in più che consentirà al fisco di stanare i grandi evasori, i grandi ladroni che possiedono beni di lusso senza pagare le tasse”.
Sì, perché l’abolizione lascia il posto ad un nuovo strumento di accertamento sintetico basato su altri criteri ancora tutti da chiarire, che secondo il capogruppo di FdI Tommaso Foti sarà in grado di “Stanare i grandi evasori, cioè chi possiede beni di lusso ma risulta nullatenente e non paga le tasse. Il governo di Giorgia Meloni tira dritto verso una vera e propria rivoluzione del fisco che prevede la riduzione delle tasse - già attuata in parte - e la lotta serrata all’evasione, mai seriamente contrastata dalle sinistre. L'obiettivo di questo governo è quello di “un fisco amico che tenda la mano a chi è impossibilitato a pagare, ma che sia invece risoluto e severo con i ‘furbetti'”.
Parole che lasciano intuire il nuovo percorso dell’accertamento sintetico del reddito, che comunque lo si voglia chiamare sarà in realtà depotenziato dalle regole attuali, già a maglie larghe, che fanno scattare il redditometro solo quanto la differenza fra dichiarato e presunto supera il 20%, e per il futuro sarà limitato ai casi più gravi casi di evasione fiscale. Il Parlamento ha espressamente chiesto di indirizzare gli strumenti induttivi verso “situazioni che rappresentino alti livelli di scostamento di congruità tra spese e redditi dichiarati, anche prevedendo soglie percentuali che riducano ed eliminino la discrezionalità dell’Agenzia delle Entrate”. Anzi, l’accertamento scatterebbe solo nei casi di contribuenti con “profili ad alto rischio fiscale”, vietandone al contrario l’uso massificato.
Secondo Massimo Garavaglia, presidente della commissione Finanza al Senato, l’abolizione del Redditometro, oltre a incrementare la tutela dei contribuenti sarebbe in grado di creare concentrare gli sforzi per contrastare l’evasione solo sui singoli casi di profili di rischio evasione consentendo interventi molto più precisi e mirati.
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