Si intitola “La bella vita è finita”, ed è un cortometraggio scritto e diretto dal Ministero delle Finanze, e la trama è tanto semplice quanto efficace: un giovane uomo di bell’aspetto – come si diceva un tempo – si siede al tavolo di un ristorante e ordina al cameriere un’infilata di portate notoriamente carissime: una dozzina di ostriche, tagliolini al tartufo (uno bello grande, specifica) e non una ma ben due aragoste, il tutto innaffiato da una bottiglia di champagne (ovviamente la più cara che c’è). Fuori campo, una voce sibila “Tanto non paga lui”, mentre il protagonista indica un ignaro signore seduto ad un altro tavolo dicendo “paghi tu”.
Non è il trailer di una pellicola di prossima uscita nelle sale, ma il succo di uno spot che ha come scopo soffiare sul collo degli evasori, spiegando che “Da oggi la bella vita è finita” e i controlli si stanno intensificando, come dimostra la scena finale del video, in cui la Guardia di Finanza suona al campanello del protagonista, che resta a bocca aperta capendo che sul tempo dei bagordi sulle spalle degli altri sta calando il sipario.
Un video ben fatto, pensato e costruito bene, che stigmatizza gli evasori seriali, gente che costringe la comunità a pagare anche per loro, che hanno l’unico cruccio di pensare a come spendere bellamente i denari sottratti alle tasse. Il video, che sta per essere diffuso in modo massiccio su emittenti radio, tv e web, si aggiunge strategicamente a quello mandato in onda qualche settimana fa, a sua volta pensato per dare lo slancio al Concordato Preventivo Biennale, accompagnato dal claim “conviene al Governo, conviene a te”.
Come insegna il “mixology”, l’arte di creare i cocktail, mescolando i due spot si ottiene una sorta di minaccia neanche tanto velata, ricordando che i nominativi di chi non aderisce al CPB finiranno con molta probabilità nelle “liste selettive”, una riserva di caccia in cui il Fisco si riserva di poter entrare tutte le volte che lo ritiene opportuno. Più o meno come aggirarsi per un poligono di tiro con un bersaglio sulla schiena.
Eppure, malgrado le minacce, al momento sembra che il CPB stia avendo un’accoglienza più che tiepida sui 4,7 milioni di partite Iva. In pratica piace soltanto chi, ad un passo dalla fine dell’anno, ha già modo di capire che nel 2024 e 2025 avrà più convenienza a pagare l’imposta sostitutiva piuttosto della normale Irpef.
Ma in mezzo c’è anche il tentativo sempre lodevole di inasprire la battaglia contro l’evasione, che negli ultimi anni ha fatto registrare un netto miglioramento del “tax gap”, sceso a 82,4 miliardi nel 2021, di cui 72 riguardano Irpef, Iva e Ires, mentre altri 10 si riferiscono ai contributi non pagati, quelli necessari a finanziare le pensioni, le prestazioni assistenziali e il congedo parentale. Malgrado il miglioramento generale, l’Italia in materia di evasione si mantiene saldamente al di sopra della media europea: nel 2021, il tax gap italiano era pari al 10,8%, contro una media UE del 5,3%.
È il lavoro autonomo, caratterizzato da entrate non tracciate in modo automatico come avviene per i lavoratori dipendenti attraverso le buste paga, a rappresentare il bacino dove si concentra tasso di evasione più elevato, che raggiunge il 66,8%. Tradotto in soldoni: oltre due terzi delle entrate della categoria non sono versate all’erario.
Non a caso, l’ultima manovra di bilancio ha preso di mira due categorie come i tassisti e i ristoratori, da sempre considerate ad alto rischio di evasione: i primi saranno sempre più obbligati ad accettare pagamenti digitali da parte dei clienti che devono presentare il rimborso delle spese di trasferta, mentre per i ristoratori scatta l’obbligo di collegare il Pos ai registratori di cassa. Basterà a mettere fine alla pacchia?