Quello che la pandemia dà, la pandemia toglie. È assai democratico, il principio a cui si attiene la diffusione del virus che ha messo in ginocchio il mondo. Ne sa qualcosa un colosso all’apparenza infrangibile come “Amazon”, che nel periodo peggiore della pandemia ha sfruttato al massimo la chiusura di negozi e grandi magazzini. Ma quando la pandemia ha iniziato a battere in ritirata, lasciando alla gente il piacere dello shopping non più virtuale, Amazon è tornato al ruolo di opzione secondaria di acquisto.
Dati che si estrapolano dai risultati semestrali deludenti, diffusi dal colosso di mister Bezos solo quando la borsa aveva ormai chiuso i battenti, per evitare contraccolpi che sono arrivati comunque, assestando un sonoro 7% in meno. Amazon era un baluardo di certezze dal 2018, ultimo anno in cui aveva deluso le attese, e a confortare i mercati non aiutano neanche previsioni tutt’altro che rosee.
Il secondo trimestre si è chiuso per l’azienda con utili per 7,78 miliardi di dollari (15,12 ad azione), per un fatturato di 113,08 miliardi. Dati all’apparenza migliori dello stesso semestre dell’anno precedente, ma inferiori ad attese che parlavano di 12,30 dollari ad azione e un giro d’affari pari a 115,2 miliardi di dollari. Cresce, al contrario, il cloud, con Amazon Web Service salito del 37%, passando a 14,81 miliardi di dollari che questa volta superano le attese (14,20). Le aspettative per il terzo trimestre del 2021, per finire, sono di un utile operativo compreso tra 2,5 e 6 miliardi di dollari, con giro d’affari tra 106 e 112 miliardi. Un’altra delusione per gli analisti, convinti che la corsa dell’azienda potesse arrivare a 119,2 miliardi di dollari.
Come se ancora non bastasse, nelle scorse ore un postino ha recapitato al quartier generale di Seattle una multa, assestata questa volta dalla “CNPD” (Commission Nationale pour la Protection des Données), l’autorità per la protezione dei dati di Lussemburgo, con un importo da suono simile ad uno schiaffone a mano aperta: 746 milioni di euro per violazione delle norme UE sulla privacy.
Immediata la replica di Amazon con una nota ufficiale che oltre ad annunciare ricorso parla di “forte disaccordo con la sentenza dell’autorità lussemburghese per la privacy. La decisione relativa al modo in cui mostriamo ai clienti pubblicità rilevante si basa su interpretazioni soggettive e inedite della normativa europea sulla privacy e la sanzione proposta è del tutto sproporzionata anche rispetto a tale interpretazione”.
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