Se fosse un film si intitolerebbe “The Pandemy Effects”, gli effetti della pandemia, e probabilmente sarebbe così lungo da non stare entro le due ore canoniche di una normale pellicola. Tali e tanti sono gli effetti secondari della pandemia, da aver praticamente cambiato il mondo da com’era prima e come è adesso.
L’ultimo - o meglio, il più recente – è probabilmente figlio di una ferale combinazione con l’ennesima scossa di assestamento della crisi economica: il ritorno degli italiani verso mestieri che ormai erano dominati dagli stranieri, come ad esempio i lavoratori domestici.
Nel solo 2020, il numero è cresciuto di 64mila, sfiorando quota 921mila unità. Ma nel +68,8%, dato complessivo dei collaboratori domestici, meno atteso è che per il 51% si tratta di lavoratori italiani: rispettivamente il 32% di colf e il 19% di badanti, presenza cresciuta del +13% rispetto a quella straniera, ferma al 5,3%.
È un dato epocale dai significati profondi, visto che l’attuale presenza italiana al 31%, dieci anni fa era ferma a meno del 20%. Sono i risultati di un’indagine dell’osservatorio “Domina” (Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico), che tendenzialmente spiega il fenomeno attraverso due diversi fattori: il lungo lockdown che ha costretto a regolarizzare molti lavoratori domestici, altrimenti impossibilitati a recarsi al lavoro, e le possibilità di regolarizzazione del personale domestico previste dal Decreto Rilancio, una “sanatoria” che ha portato all’emersione di rapporti lavoro fino a quel momento irregolari. A questo va aggiunto il bonus baby sitter del 2020, altro sintomo del bisogno di assistenza durante i lunghi mesi del lockdown soprattutto per anziani soli e bambini costretti a casa da scuola.
La regione con il maggior numero di collaboratori domestici è la Lombardia, con 172.092 lavoratori nel 2020 (18,7%), seguita da Lazio (13,8%), Emilia Romagna (8,7%) e Toscana (8,6%), quattro regioni in cui si concentra quasi la metà dei lavoratori domestici presenti in Italia.
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