“Come nel caso della Russia, il governo cinese non commette direttamente gli attacchi, ma li protegge”. Va dritto al cuore del problema il presidente americano Biden, che con l’appoggio di Bruxelles, ma anche di Londra, dell’Australia, il Canada, la Nuova Zelanda e il Giappone, lancia il più duro attacco frontale mai visto finora verso Pechino.
Un fronte compatto e nervoso che alza l’asticella di un nuovo capitolo della “guerra fredda” in versione digital fra Washington e Pechino. A fare eco al presidente il segretario di Stato Antony Blinken, che accusa la Cina di “un irresponsabile, distruttivo e destabilizzante atteggiamento nel cyberspazio, che minaccia la nostra economia e la sicurezza nazionale”.
Parole durissime in cui Pechino è da più fronti accusata di finanziare gruppi criminali con il compito di colpire le grandi aziende dove fa più male: nel portafoglio. E se Biden non è nuovo a inviare messaggi precisi e impossibili da fraintendere verso la Cina, meno propensi alla rissa finora erano state Bruxelles e addirittura la “Nato”, almeno fino a quando un nuovo cyber attacco ha colpito il colosso “Microsoft”, danneggiando di riflesso numerose aziende europee.
Al momento, si specifica da Washington, non sono previste nuove sanzioni verso Pechino (anche se secondo voci informate sarebbero pronte a scattare la prossima settimana), ma si conferma l’intenzione di usare le maniere forti. Quattro cittadini cinesi residenti in America sarebbero finiti sotto accusa dal Dipartimento della Giustizia perché sospettati di lavorare sotto copertura per il ministro della sicurezza di Pechino, per cui avrebbero coordinato diversi attacchi hacker direttamente dagli Stati Uniti.
A rendere ancora più incandescente la situazione l’allarme lanciato dall’FBI, secondo cui gli hacker cinesi sarebbero la principale minaccia per l’America e i suoi alleati: tutte le aziende, così come le istituzioni politiche, sociali, militari ed economiche, per l’intelligence americana sono soggetti a forte rischio da seguire e monitorare da vicino.
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