Il problema numero uno è che si vendono sempre meno auto. E il secondo – al netto di una coscienza ecologica ormai diffusa – è che si vendono solo quelle che costano meno. Ma il mondo dell’auto, in fondo, vive da sempre intorno ad un paradosso mai del tutto risolto: da una parte incentivare l’acquisto di auto nuove per dare ossigeno ad un settore fondamentale dell’industria, ma dall’altro spingere chi compra a chiuderla in garage preferendo mezzi pubblici, biciclette e monopattini per non ammorbare l’aria altrui. È un po’ lo stesso principio che spinge uno Stato a vendere tabacchi e sigarette ricordando a tutti che fumare nuoce alla salute, ma rende.
In questo dubbio amletico si sono infilati i cinesi, che un tempo fotocopiavano i modelli più venduti da altri spacciandoli per propri, mentre oggi hanno alzato l’asticella invadendo ogni possibile mercato con marchi e modelli elettrici a centinaia, ovviamente dai prezzi alla “cinese”, ovvero molto più contenuti, resi possibili anche da sovvenzioni pubbliche che Bruxelles ha bollato come “sleali”, elargite da Pechino per contenere i prezzi e consentire alle proprie industrie di invadere i mercati.
Uno sbarco massiccio a cui dopo circa 9 mesi di indagini l’Europa ha deciso di mettere un freno, sulla spinta degli allarmi suonati da tempo dai grandi marchi nostrani, sempre più in affanno fra regole stringenti, mercati flosci e comitive di cinesi che sorridono, chiedono scusa e fanno finta di non capire. La bacchettata della UE, fra il plauso italiano, francese e spagnolo e le perplessità di tedeschi, svedesi e ungheresi, è arrivata “Dopo aver esaminato tutte le possibili conseguenze e gli impatti delle misure che potenzialmente potrebbero colpire importatori, utilizzatori e consumatori di veicoli elettrici a batteria in tutto il territorio UE”.
Nel dettaglio, oltre all’attuale 10% urbi et orbi, a partire dal prossimo 5 luglio Bruxelles ha deciso di assestare “dazi compensativi provvisori” che colpiscono del +17,4% i prodotti del marchio “Byd”, produttore di Shenzhen, aggiungendo un +20% a “Geely”, colosso che controlla ben 12 marchi tra cui Volvo, Lotus e Smart, e ancora il +38,1% per le vetture del gruppo “Saic”, terza azienda cinese produttrice di auto, proprietaria di quattro marchi compreso “MG”, acronimo dell’inglese “Morris Garage”. L’obiettivo, spingere i costruttori con gli occhi a mandorla a ribaltare gli aumenti sui listini per adeguare i prezzi a quelli europei, molto più alti, e limitare al tempo stesso la sovracapacità cinese di inondare i mercati europei.
Un listino di aumenti più contenuto, spiega in una nota la Commissione UE, colpirà i brand che hanno deciso di collaborare all’inchiesta, come “BMW” e “Tesla”, entrambe proprietarie di impianti produttivi in Cina che importano auto in Europa, a cui sarà applicato un dazio del 21% al 10% già citato. Chi ha scelto di non collaborare, pagherà la decisione con un 38,1% in più. Difficile fare previsioni sugli effetti che ricadranno sui mercati per le auto cinesi: alcuni marchi potrebbero assorbire almeno in modo parziale i rincari, ma altri potrebbero scegliere di fare marcia indietro e lasciare l’Europa.
In effetti, i rialzi che sono riusciti a sorprendere perfino esperti ed analisti, convinti che la scure europea si sarebbe limitata fra il 10 ed il 25%. In compenso, da Pechino la reazione è stata immediata e come sempre minacciosa: oltre a monitorare da vicino la situazione, “saranno adottate tutte le misure necessarie per salvaguardare le aziende cinesi”. Si parla, al momento senza conferme, di un ulteriore 15% da aggiungere all’import e la minaccia velata di limitare le esportazioni cinesi verso l’Europa di tecnologie fondamentali come le batterie, ma secondo gli esperti il rischio di ritorsioni e di guerre commerciali è assai probabile, strada utile per arrivare ad una mediazione sulle tariffe.
Eppure, a ben vedere, la bacchettata sulle dita europea è sicuramente di quelle dolorose, ma molto meno di quella assestata dagli Stati Uniti, dove l’amministrazione Biden – convinta che la “Cina è troppo grande per giocare secondo le regole” - ha da poco deciso di alzare dal 25 al 100% del valore la tassazione su veicoli elettrici, microchip, batterie e minerali.