È stato pubblicato dalla Banca d’Italia, lo scorso 17 giugno, un paper in lingua inglese nel quale si fornisce una valutazione sugli impatti economici del programma di incentivi dei due crediti di imposta, "Bonus facciate" e "Superbonus 110%", attivi in Italia dalla seconda metà del 2020, istituiti con l'obiettivo di stimolare il settore delle costruzioni attraverso investimenti mirati a migliorare l'efficienza energetica e le caratteristiche antisismiche ed estetiche degli edifici residenziali.
Ci sono tre ragioni principali per cui le autorità fiscali in generale sovvenzionano le ristrutturazioni delle abitazioni. Il primo è lo stimolo all’economia durante le recessioni economiche; nel 2022 le imprese di costruzione hanno rappresentato più del 5% del valore totale dell’economia dell’UE (mantenendo forti legami intersezionali con i settori manifatturiero e dei servizi): una forte domanda per attività di ristrutturazione si ritiene quindi che abbia un effetto benefico per l'intera economia. Il secondo è quello economico a sostegno delle persone che non possono permettersi la ristrutturazione delle loro proprietà: incentivando ristrutturazioni che riducano il consumo futuro di energia (e aumentino il valore delle abitazioni), si mira a rafforzare e promuovere l’inclusione economica e sociale e il benessere di un’ampia parte della popolazione.
Il terzo è incoraggiare la transizione verde: secondo l'European Environmental Agency, nel 2020 gli edifici hanno contribuito per il 35% alle emissioni di gas serra legati all’energia. La ristrutturazione degli edifici con un migliore isolamento e sistemi di riscaldamento/raffreddamento, possono contribuire a ridurre le emissioni derivanti dall’uso di combustibili fossili. Il sostegno pubblico risulta necessario per finanziare questi investimenti, data la presenza di un’esternalità positiva e in considerazione del fatto che gli edifici più maltenuti sono spesso di proprietà di famiglie più povere, con vincoli finanziari più stringenti.
L’analisi esposta nel paper prende avvio da due aspetti principali: il primo è se e in che misura si sia riusciti a stimolare la domanda aggiuntiva di investimenti abitativi nel periodo 2021-23; il secondo è quanto questi sussidi abbiano influenzato la crescita economica nel periodo post-pandemia.
Per quanto riguarda la prima domanda, il fatto che le sovvenzioni non fossero mirate né ad un’area specifica né a criteri di ammissibilità rigorosi ha posto diverse sfide nell’identificazione di un adeguato gruppo di confronto e controllo: le due misure hanno comportato una spesa di oltre 170 miliardi nel periodo 2021-23 (circa il 3% del PIL in media d'anno) e la valutazione dei loro effetti è stata realizzata confrontando l'andamento della spesa per investimenti residenziali dell'Italia con quello di alcuni paesi europei che non avevano adottato programmi simili (cd. "metodo del controllo sintetico").
Attraverso tale metodo l’unità di confronto può essere costruita “sinteticamente”, laddove l’unità comparabile viene determinata “sinteticamente” come media ponderata dei paesi UE che non hanno sperimentato un trattamento simile nel periodo di analisi.
Utilizzando i dati trimestrali Eurostat sui conti nazionali, i nostri risultati mostrano che alla fine del 2023, gli investimenti immobiliari pro capite in termini reali erano maggiori del 67% in Italia rispetto al gruppo di controllo sintetico; i test standard mostrano che ciò difficilmente potrebbe essersi verificato a caso, senza una ragione direttamente collegabile agli incentivi.
Secondo le stime di Banca Italia, circa il 73% del valore totale degli investimenti abitativi che hanno ricevuto il “Superbonus 110%” o il “Bonus Facciate” (ovvero la quota di investimenti immobiliari che hanno ricevuto sostegno pubblico e che non sarebbero stati realizzati senza il programma) sono stati incentivati dai crediti d'imposta. Il restante quarto della spesa relativa agli investimenti agevolati – complessivamente circa 45 miliardi – rappresenta una “perdita secca”, ossia investimenti che sarebbero stati realizzati anche senza questi due incentivi. Questo risultato implica pertanto che il 27% delle opere sovvenzionate sarebbero state realizzate senza alcun supporto pubblico.
Complessivamente il moltiplicatore fiscale (rapporto tra il PIL generato dal “Superbonus 110%” e dal “Bonus facciate” e i loro costi totali) è stato inferiore all'unità: ciò significa che i benefici per il complesso dell'economia, in termini di valore aggiunto, sono stati inferiori rispetto ai costi sostenuti per le agevolazioni.
La stima del moltiplicatore fiscale inferiore a uno implica infatti che le entrate fiscali generate dai bonus siano di molto inferiori ai loro costi, suggerendo l’insufficienza degli incentivi stessi nel “ripagare se stessi”: confrontando il valore aggiunto generato dal programma con i suoi costi e utilizzando le elasticità standard tra entrate e produzione, ne emerge come gli interventi di politica non si sono “ripagati da soli”, vale a dire che le entrate generate dal rilancio dell’attività economica indotte dai bonus sono state significativamente inferiori al loro costo lordo per le casse dello Stato, determinando un peggioramento nell’accumulo di debito pubblico che sarà rimborsato in futuro.
Di conseguenza, guardando al futuro, lo studio suggerisce la necessità di progettare iniziative che siano socialmente più giuste e finanziariamente più sostenibili: una possibile soluzione per continuare a sostenere al massimo le ristrutturazioni green, ad esempio consisterebbe nel lasciare che il tasso di incentivo sia massimo solo per le famiglie più povere e per opere “pure green”. Si dovrebbe quindi fare in modo di tener conto del reddito dei richiedenti, riducendo la percentuale di agevolazione tanto più quanto il reddito sia maggiore e gli interventi “green” siano minori.
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