Per il mondo economico, la “recessione tecnica” equivale un po’ al cartellino giallo dell’arbitro, quello dell’ammonizione: l’ultimo avviso prima che scatti il rosso che significa dover lasciare il campo. Applicato al mondo economico, è l’ultimo campanello di allarme prima che i mercati dichiarino l’ingresso ufficiale di un Paese in una fase di crisi.
Uno status che nelle scorse ore è tornato di grande attualità per aver toccato due delle grandi potenze economiche mondiali come il Giappone e il Regno Unito.
Secondo l’aspetto specialistico, un Paese entra nella fase di recessione tecnica quando il suo Pil segna una variazione negativa per due trimestri consecutivi. In pratica, si tratta di un’unità di misura particolare utilizzata per valutare in tempi rapidi lo stato di salute delle economie, che è anche l’unica sopravvissuta ad una serie di metodi di misurazione nati negli anni ’60 e oggi in disuso come la flessione per sei mesi consecutivi della produzione industriale, il calo dell’1,5% del Pil, del 15% dell’occupazione e l’aumento fra il 2 e il 6% della disoccupazione.
Una recessione che viene definita “tecnica” perché ancora provvisoria e con la fase di crisi non del tutto conclamata, ma che statisticamente di rado sbaglia le previsioni. In Giappone, ad esempio, tra ottobre e dicembre il Pil si è contratto dallo 0,1% allo -0,7%, aprendo le porte al Paese nipponico la fase della recessione tecnica, la cui prima conseguenza è stata la perdita della terza posizione sul podio delle superpotenze mondiali, ceduta alla Germania, diventata la terza economia mondiale dopo Stati Uniti e Cina malgrado neanche a Berlino splenda il sole pieno. Proprio la Germania, nel primo trimestre del 2023 era entrata in recessione tecnica dopo la contrazione dello 0,3% del Pil, condizione che il Paese si trascinava dal quarto trimestre 2022.
Lo stesso principio che in questi giorni è stato applicato al Regno Unito, con l’economia che ha registrato una flessione del Pil pari al -0,1% nel terzo trimestre 2023, seguita da un ulteriore calo dello 0,3% nel quarto. In Italia, l’ultima recessione tecnica risale al 2018, quando il Pil fece registrare un calo secco dello 0,2% nel terzo e nel quarto trimestre.
La notizia, all’inizio di un anno di elezioni politiche, non gioca certo a favore del governo inglese, anche se non è per nulla inaspettata, dato l’attuale scenario di inflazione e tassi d’interesse elevati e considerato il rallentamento della crescita che si registra ormai da anni. “L’economia del Regno Unito sta sostanzialmente toccando il fondo”, commenta amaro Stephen Payne, analista di “Janus Henderson”.
Per essere chiari, la recessione tecnica non è di per sé un segnale preoccupante, ma piuttosto la conferma delle difficoltà economiche di un Paese la cui crescita è bloccata perché la produzione è inferiore rispetto a quello che potrebbe fare. Per capire quanto è grave la recessione, oltre al PIL bisogna misurare altri indicatori economici come consumi, disoccupazione, reddito medio di famiglie e imprese, produzione industriale, andamento demografico della popolazione.
Ma si tratta di una fase recessione fisiologica del normale ciclo economico, composto da quattro fasi: prosperità o espansione, una fase in cui l’economia cresce, il PIL aumenta, l’occupazione è alta, i consumi sono sostenuti tra consumatori e imprenditori regna ottimismo. Si parla invece di recessione o contrazione nella fase che segue l’espansione, di naturale rallentamento dell'attività economica, nella crescita del PIL e nel calo dell'occupazione. Un ulteriore passo verso il basso per entrare nella base di depressione o crisi, la più critica e difficile dell’intero ciclo economico, con PIL in calo, disoccupazione alta e investimenti e consumi bassi. Per finire con la ripresa, la fase che segna l’inizio del rialzo economico.
Su ogni fase possono influire anche fattori esterni come choc economici o decisioni di politica economica che causano rallentamenti dei consumi, come l’aumento dei tassi di interesse per tentare di frenare l’inflazione.