9 ottobre 2024

L’universo delle PMI italiane: piccole e toste

Generano il 41% del fatturato complessivo italiano, hanno raggiunto livelli di welfare aziendale di tutto rispetto e tentato di raggiungere obiettivi green sfruttando i finanziamenti pubblici, ma molte li trovano troppo complessi

Autore: Germano Longo
Lo scorso maggio, il report “A microscope on small business”, realizzato da un gruppo di esperti del “McKinsey Global Institute”, aveva dato forse una delle più precise definizioni alle PMI italiane: una risorsa ad alto potenziale, ma per buona parte inespresso.

L’analisi accendeva i riflettori su un universo parallelo fatto di micro, piccole e medie imprese di settori diversi in 16 Paesi: 10 immerse nelle cosiddette economie avanzate (Italia, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Giappone, Spagna, Australia, Polonia, Portogallo e Israele), e altre 6 fra quelle emergenti (Brasile, Messico, Indonesia, India, Nigeria, Kenya). Ma a fare la differenza è proprio il caso italiano, dove le PMI contribuiscono per il 63% al valore aggiunto e per il 76% all’occupazione, a fronte del 50% del Pil e il 40% di contributo all’occupazione nel resto die Paesi analizzati. Al contrario, tutto cambia prendendo come parametro la produttività delle Piccole e Medie aziende: in Italia è pari al 55% di quella delle più grandi, mentre nelle economie avanzate si assesta sul 60%, con il picco dell’84% nel Regno Unito.

“Le piccole imprese sono tendenzialmente meno produttive delle grandi – ha spiegato Marco Piccitto, managing partner McKinsey per il Mediterraneo – e in Italia questo appare più evidente per il peso che queste hanno sul Pil, che è quasi il 10% in più della media delle economie avanzate analizzate. Le piccole imprese italiane presentano una dimensione inferiore alla media ed è quindi meno probabile che diventino grandi aziende”.

Dati in qualche modo confermati da uno dei tanti temi affrontati nel corso di “Il Futuro è Ora!”, un convegno nazionale sulla finanza agevolata organizzato di recente a Bologna da Golden Group con la collaborazione di Confindustria Emilia-Romagna.

Dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi emerge che le piccole e medie imprese sono circa 230mila sui 4,6 milioni attive in Italia, ma pur rappresentando solo il 5% del totale, contribuiscono al fatturato complessivo con oltre il 41%. Di queste, più del 65% ha usufruito di strumenti agevolativi dimostrando un teorema fondamentale: la finanza pubblica può avere un ruolo fondamentale nello sviluppo di una cultura digitale e sostenibile se messa in pratica con investimenti in formazione e nuove tecnologie.

Secondo l’analisi, il 76% delle Pmi ritiene un tema prioritario gli obiettivi green e il 49% si impegna nella formazione del personale, tuttavia solo il 10% ha scelto di inserire figure specialistiche all’interno dei propri organici. Il motivo principale è che Pmi sono alla ricerca di finanziamenti pubblici per supportare investimenti in formazione e innovazione, ma più del 42% finisce spesso per arrendersi di fronte alla complessità delle procedure burocratiche dei bandi.

Il risultato, come ricordava la ricerca McKinsley, è di un alto potenziale del tutto disperso: secondo una simulazione, riuscire ad alzare la produttività delle PMI italiane al livello di quella dei migliori esempi di produttività, significherebbe aumentare il Pil del +6,4%.

Ma malgrado questo, secondo “Lo scenario per le imprese italiane: le strategie e le sfide di domani”, un’analisi della Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, la tendenza in Italia sembra cambiata. Basandosi sui dati Eurostat, il report rileva che dal 2010 al 2019 la crescita del Pil italiano è stata dell’1,1% a fronte del +12,6% registrato dell’area euro, ma dalla fine del 2021 il trend è completamente cambiato, arrivando al 2024, con un incremento del +6% rispetto al +4,7% dell’area euro, che permette al nostro Paese di crescere più della Germania (2,1%) e della Francia (4,4%).

Per finire con un altro dato confortante, emerso nel giugno scorso dal rapporto “'Rapporto Welfare Index Pmi 2024”, secondo cui il 75% delle piccole e medie imprese italiane, 3 su 4, ha superato il livello medio di welfare aziendale.
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