Lo scorso maggio, il report “A microscope on small business”, realizzato da un gruppo di esperti del “McKinsey Global Institute”, aveva dato forse una delle più precise definizioni alle PMI italiane: una risorsa ad alto potenziale, ma per buona parte inespresso.
L’analisi accendeva i riflettori su un universo parallelo fatto di micro, piccole e medie imprese di settori diversi in 16 Paesi: 10 immerse nelle cosiddette economie avanzate (Italia, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Giappone, Spagna, Australia, Polonia, Portogallo e Israele), e altre 6 fra quelle emergenti (Brasile, Messico, Indonesia, India, Nigeria, Kenya). Ma a fare la differenza è proprio il caso italiano, dove le PMI contribuiscono per il 63% al valore aggiunto e per il 76% all’occupazione, a fronte del 50% del Pil e il 40% di contributo all’occupazione nel resto die Paesi analizzati. Al contrario, tutto cambia prendendo come parametro la produttività delle Piccole e Medie aziende: in Italia è pari al 55% di quella delle più grandi, mentre nelle economie avanzate si assesta sul 60%, con il picco dell’84% nel Regno Unito.
“Le piccole imprese sono tendenzialmente meno produttive delle grandi – ha spiegato Marco Piccitto, managing partner McKinsey per il Mediterraneo – e in Italia questo appare più evidente per il peso che queste hanno sul Pil, che è quasi il 10% in più della media delle economie avanzate analizzate. Le piccole imprese italiane presentano una dimensione inferiore alla media ed è quindi meno probabile che diventino grandi aziende”.
Dati in qualche modo confermati da uno dei tanti temi affrontati nel corso di “Il Futuro è Ora!”, un convegno nazionale sulla finanza agevolata organizzato di recente a Bologna da Golden Group con la collaborazione di Confindustria Emilia-Romagna.
Dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi emerge che le piccole e medie imprese sono circa 230mila sui 4,6 milioni attive in Italia, ma pur rappresentando solo il 5% del totale, contribuiscono al fatturato complessivo con oltre il 41%. Di queste, più del 65% ha usufruito di strumenti agevolativi dimostrando un teorema fondamentale: la finanza pubblica può avere un ruolo fondamentale nello sviluppo di una cultura digitale e sostenibile se messa in pratica con investimenti in formazione e nuove tecnologie.
Secondo l’analisi, il 76% delle Pmi ritiene un tema prioritario gli obiettivi green e il 49% si impegna nella formazione del personale, tuttavia solo il 10% ha scelto di inserire figure specialistiche all’interno dei propri organici. Il motivo principale è che Pmi sono alla ricerca di finanziamenti pubblici per supportare investimenti in formazione e innovazione, ma più del 42% finisce spesso per arrendersi di fronte alla complessità delle procedure burocratiche dei bandi.
Il risultato, come ricordava la ricerca McKinsley, è di un alto potenziale del tutto disperso: secondo una simulazione, riuscire ad alzare la produttività delle PMI italiane al livello di quella dei migliori esempi di produttività, significherebbe aumentare il Pil del +6,4%.
Ma malgrado questo, secondo “Lo scenario per le imprese italiane: le strategie e le sfide di domani”, un’analisi della Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, la tendenza in Italia sembra cambiata. Basandosi sui dati Eurostat, il report rileva che dal 2010 al 2019 la crescita del Pil italiano è stata dell’1,1% a fronte del +12,6% registrato dell’area euro, ma dalla fine del 2021 il trend è completamente cambiato, arrivando al 2024, con un incremento del +6% rispetto al +4,7% dell’area euro, che permette al nostro Paese di crescere più della Germania (2,1%) e della Francia (4,4%).
Per finire con un altro dato confortante, emerso nel giugno scorso dal rapporto “'Rapporto Welfare Index Pmi 2024”, secondo cui il 75% delle piccole e medie imprese italiane, 3 su 4, ha superato il livello medio di welfare aziendale.