Il suo nome è “DAC7”, e non è un agente segreto, o meglio, non lo è del tutto ma quasi. Per avere un’idea della sua missione è sufficiente sapere che dietro alla misteriosa sigla si nasconde una norma voluta dall’Europa (entrata in vigore dal 31 dicembre 2022 e recepita dall’Italia con il Dlgs n. 32/2023), per contrastare l’evasione fiscale nelle sempre più diffuse attività di commercio online. Peccato che spesso, quasi sempre, i redditi percepiti attraverso le piattaforme digitali non siano dichiarati e men che meno versate le imposte. Può succedere, ma forse capita un po’ troppo spesso, visto che secondo le stime della Commissione UE, il meccanismo della DAC7 potrà portare nelle casse di Bruxelles circa 30 miliardi di euro.
In pratica, DAC7 inserisce alcuni obblighi per la compravendita di articoli, anche quelli che riguardano il florido mercato del “second hand”, la seconda mano.
Non si tratta di una nuova tassa, ma di una forma di tracciabilità europea dei redditi online, con obblighi tanto per chi vende quanto per chi acquista, nata per distinguere chi saltuariamente decide di vendere qualcosa da quanti invece lo fanno come attività vera e propria. I primi, solo al superamento di 30 articoli venduti e 2000 euro di guadagno per anno solare, sono obbligati a compilare un modulo che tuttavia – a sorpresa – non significa tasse aggiuntive, ma diventare comunque più responsabile di quanto scritto sulla dichiarazione dei redditi, con l’obbligo di attestare al Fisco eventuali guadagni.
In caso di mancata comunicazione dei dati all'Agenzia delle Entrate entro il 31 dicembre di ogni anno (per il 2024 il termine è stato prorogato al 15 febbraio), i gestori delle piattaforme con obbligo di comunicazione rischiano sanzioni tra 3.000 a 31.500 euro, mentre per informazioni incomplete o inesatte la forbice oscilla tra 1.000 a 10.500 euro. Per i venditori che non forniscono le informazioni previste da DAC7, dopo due solleciti successivi alla richiesta iniziale scatta la chiusura dell’account trattenendo il corrispettivo fino all’invio delle informazioni richieste.
Sfuggire alla DAC7 sarà difficile, visto che la normativa prevede lo scambio automatico di informazioni tra i Paesi UE: quelli in cui sono registrate le piattaforme digitali dovranno inviare le informazioni alle proprie autorità fiscali che a loro volta comunicheranno i dati agli omologhi degli altri Paesi UE. Lo scorso giugno, la Commissione UE ha inviato quattro lettere di “costituzione in mora” a Germania, Ungheria, Polonia e Romania per la mancata attivazione dello scambio di informazioni sui redditi delle piattaforme digitali.
Secondo un vademecum per i propri iscritti diffuso di recente da “Vinted”, uno dei più noti siti di vendite online di articoli nuovi e usati, la vendita di articoli personali di seconda mano non è tassabile in Italia, e anche se un utente rivende un articolo ad un prezzo maggiore rispetto a quello di acquisto, non è tenuto a pagare imposte sulla vendita. Al contrario, le imposte entrano in gioco per chi opera in modo professionale e assiduo.
Nel caso specifico, sarà la stessa azienda lituana di compravendita ad avvisare gli utenti che superano le soglie previste da DAC7, inviando un modulo precompilato in cui inserire il proprio codice fiscale. In caso di mancato invio, le diverse piattaforme prevedono ripercussioni di intensità variabile: la più comune è la limitazione all’accesso e alla vendita.
Il sito di vendita e aste online “eBay”, spiega di essere tenuta per legge a comunicare i dati sulle transazioni dei suoi utenti perché la norma tedesca ha recepito la direttiva DAC7 e la sede legale è in Germania. “I dati verranno comunicati alle autorità fiscali tedesche nel caso di residenti UE che in un anno solare abbiano raggiunto il corrispettivo di vendite su eBay, al netto di tariffe, commissioni e imposte, pari o superiore a 2 mila euro, oppure se vengono completate più di 30 vendite”. Per finire con “Subito.it”, sito di compravendita online, anch’essa tenuta a raccogliere e comunicare i dati fiscali e anagrafici nonché i dettagli sulle transazioni dai venditori che superano le “29 vendite e 2mila euro incassati con le vendite in un anno civile”.
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