2 agosto 2022

Dalla partecipazione all’occupazione

Autore: Rachele Pozzato
Come impatto diretto della pandemia in Europa, nel 2020, la disoccupazione giovanile è aumentata dell’1,4%, secondo le stime del rapporto Eurofound, raggiungendo il 13,3%. Parallelamente è poi aumentato anche il numero dei Neet, i giovani non occupati e non inseriti in un percorso di istruzione o formazione, arrivando al 13,6%. Medaglia d’oro, di vizi e non virtù, l’Italia: qui da noi si è infatti registrata una delle peggiori performance d’Eurozona, arrivando al 23% di Neet. Un dato comunque in aumento in tutto l’Occidente, tanto da spingere la Commissione Europea a redigere il social Rights action Plan: un piano con il quale si è fissato l’obiettivo di ridurre, entro il 2030, il tasso europeo di Neet al 9%, stabilendo inoltre che gli Stati membri con un tasso superiore alla media, dovranno spendere almeno il 12,5% delle risorse che riceveranno dall’Ue per i giovani.

Una popolazione più attiva e occupata - Un aspetto divenuto dunque centrale per l’Italia, tra i nodi d’interesse del Pnrr. In favore dell’occupabilità dei giovani, uno dei principali strumenti a comparire, è il Servizio Civile Universale. Finanziato con 650 milioni di euro, il servizio civile si colloca tra gli interventi per la coesione sociale e punta ad “aumentare la consapevolezza dell’importanza della cittadinanza attiva per promuovere l’occupabilità dei più giovani e la coesione sociale con particolare attenzione alla transizione ecologica digitale”. Formalmente attività di volontariato, e che dunque non dovrebbe rientrare tra le politiche del lavoro, ma che figura come “laboratorio di policy” a favore dei giovani: aprendo alla possibilità o consapevolezza, insomma, che una maggiore occupabilità sia figlia anche di una cittadinanza consapevole e soprattutto più agita.

Crescita individuale - Un’indagine Inapp, in seguito a una prima introduzione del servizio civile come strumento per l’occupabilità in Italia nel 2015 – primato peraltro in Europa –, evidenziò tra i profili dei volontari un significativo processo di ri-orientamento e un sostanziale azzeramento dell’inattività.

Se è vero però che gli esiti rimangono confortanti, è altrettanto vero che il servizio civile non nasce come misura di impiego. Ne è stato dunque indagato il potenziale effetto di empowerment, ossia di un processo di crescita per far emergere risorse latenti. L’indagine di Inapp ha effettivamente mostrato che il livello di occupabilità aumenta del 12%, oltre a indicare la trasversalità di questa crescita: l’aumento di occupabilità è indipendente dai profili socio-anagrafici, dal background famigliare e dai livelli occupazionali di partenza. La probabilità di essere occupati aumenta, invece, per i giovani che registrano valori più alti di cittadinanza attiva.

Nuove vie contro la disoccupazione - Il servizio civile si configura, insomma, secondo i dati, come una misura innovativa ed efficace per l’occupabilità nei giovani, nella dimensione di un’esperienza democratica e arricchente in grado di azzerare la quota di inattivi e agendo dunque in modo significativo sui profili Neet.

Un fenomeno, nel nostro Paese, spesso legato alla mancanza di occasioni e risposte coerenti ai bisogni dei cittadini. Un problema legato alla domanda tanto quanto all’offerta nel mercato del lavoro. Andando aldilà delle responsabilità individuali e personali dei giovani che nutrono le percentuali di inattivi, bisogna però ricordare la cronica carenza di domanda di lavoro qualificata in Italia. Una situazione che spinge all’urgenza di investimenti capaci di innescare meccanismi opposti, specialmente senza perdere le opportunità del Pnrr.

I risultati incoraggianti degli effetti positivi del servizio civile devono però essere accompagnati da uno sforzo per coinvolgere quanti più giovani possibile, per portare a risultati incisivi, pur proteggendone la natura volontaria.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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