16 maggio 2024

Le imprese sono pronte ad assumere, ma i lavoratori non si trovano

Secondo Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, a marzo ne servivano più di 440mila, ma quasi la metà non è stato possibile trovarli. È il paradosso tutto italiano, fra la crescita degli occupati, la stagnazione degli inattivi e i Neet che superano i due milioni

Autore: Germano Longo
In un Paese come l’Italia, storicamente affamato di lavoro, sembra un paradosso dover raccontare che lo scorso marzo, su 447mila posti di lavoro disponibili, quasi la metà - il 47,8% - è andato perduto per mancanza di candidati.

Le cifre sono quelle snocciolate da “Confcooperative” nel corso della 42esima assemblea nazionale. “La mancanza di personale – ha spiegato il presidente Maurizio Gardini - è il principale ostacolo anche per la crescita delle cooperative, per una su due è un problema oramai strutturale. Le nostre 17.000 associate danno lavoro a 540 mila persone, potrebbero assumerne altre 30 mila, ma non trovano figure qualificate. Le imprese sono in affanno e costrette alla difesa, provate dai rincari dell’energia e delle materie prime, dal mismatch e dalla contrazione dei consumi interni. Nei servizi, solo un’impresa su due riesce ad accedere al credito. È un’Italia del paradosso, perché cala la disoccupazione al 7,2% con gli occupati che sfiorano i 24 milioni, mentre ci sono ben 12,4 milioni di inattivi, vale a dire 1/3 della popolazione tra i 15 e i 64 anni, comprese 2,66 milioni di donne che non cercano lavoro per motivi familiari, perché assistono un familiare anziano, minore o disabile. Un dato che sottolinea ancora una volta la necessità di rafforzare le politiche di conciliazione, di offrire più servizi a supporto delle famiglie”.

Il problema, ammette Confcooperative, è anche il mismatch creato dal violento impatto di nuove tecnologie e intelligenza artificiale, che non ha lasciato il tempo al mercato del lavoro di attrezzarsi. Secondo le previsioni, un disequilibrio strutturale che nelle economie più avanzate potrebbe portare il 60% degli occupati ad uscire fortemente penalizzati dall’incontro con l’IA.

“L’internazionalizzazione – prosegue Gardini – ci vede protagonisti con molte imprese di diversi settori per un valore di oltre 5,6 miliardi. Nel Made in Italy, di cui siamo sostenitori, abbiamo una identità riconosciuta densa di eccellenze anche cooperative. Il Covid, le guerre in corso, la crisi del canale di Suez hanno avuto e hanno un grave impatto sull’export e sull’import.

Il Piano Mattei e l’attenzione alle enormi necessità dell’Ucraina mostrano un dinamismo del Governo che restituirà alle imprese un ruolo chiave. Il Made in Italy richiama direttamente l’agroalimentare, le cui punte più avanzate sono nella nostra organizzazione: basti pensare che sulle nostre tavole un prodotto su cinque arriva dalle nostre cooperative agroalimentari. Una filiera tre volte italiana, per prodotto, produttori e territorio. È fondamentale che la Pubblica Amministrazione riconosca gli aumenti contrattuali in fase di appalti, riconoscendo la qualità e non solo l’offerta economica più bassa. Sul fronte dei Debiti PA, le nostre cooperative vantano crediti per 2,5 miliardi con pagamenti medi a 92 giorni”, conclude.

Ma l’inflazione in calo è comunque una buona notizia, che porta dritto al deciso stop a quella che il presidente di Confcooperative definisce la “tassa Lagarde”: “È ora per la BCE di tagliare il costo del denaro”, come in fondo già richiesto dal Governatore della Banca d’Italia Panetta.

Dello stesso avviso è la Fondazione studi consulenti del lavoro, il cui Festival del Lavoro è ormai prossimo, che segnala in grave ritardo italiano nella digitalizzazione del capitale umano: in Italia la domanda di professionalità altamente innovative raggiunge quota 1,28 milioni di addetti all’anno, quasi per la metà (44,2%) profili assai complicati i da individuare.

Un gap che diventa ancora più evidente scendendo nel dettaglio, con il misero 45,6% della popolazione in età lavorativa in grado di assicurare competenze digitali basilari, contro il 53,9% della media UE. Tra i profili più difficili da rintracciare spiccano gli ingegneri elettrotecnici (90,4%) e quelli dell’informazione (80,7%), i tecnici gestori di reti e sistemi telematici (74,6%), i dirigenti dell’industria manufatturiera (73,8%), i tecnici del risparmio energetico e energie rinnovabili (71,7%) e poi matematici, statistici e analisti. A emergere con forza, è soprattutto la mancanza di laureati nelle materie STEM, con una media di 18,3 laureati ogni 1.000 giovani fra 20 e 29 anni, molto più in basso della media UE.
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