Lunedì scorso c’è stata in Francia un’altra – piccola – Rivoluzione; non combattuta con armi né cruenta, e tuttavia destinata a passare alla storia per aver affermato un primato.
Dopo il voto positivo già autonomamente espresso in precedenza, l'Assemblea nazionale ed il Senato, riuniti in sessione comune nel cosiddetto Congresso di Versailles, con 780 voti a favore e 72 contrari (ben oltre, quindi la soglia minima richiesta di 512 voti, cioè i tre quinti dell’assemblea) hanno approvato la proposta di legge che inserisce nella Costituzione francese la libertà per le donne di abortire.
La Francia è così diventata il primo paese al mondo a cambiare la propria legge fondamentale inserendovi un riferimento specifico all’interruzione di gravidanza, scavalcando perciò quegli altri Paesi che, in passato, hanno tentato la strada di collegare la tutela del “diritto all’aborto” ad altri diritti già garantiti dalle proprie Costituzioni (il diritto alla salute o il diritto alla privacy), senza tuttavia mai arrivare a riconoscergli un’autonoma rilevanza costituzionale.
L’art. 34 della Costituzione francese (che elenca le materie soggette a riserva di legge) viene dunque revisionato con l’aggiunta di questa nuova previsione: «la legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso ad un'interruzione volontaria della gravidanza».
Così formulata, la norma in realtà non sancisce espressamente un “diritto all’aborto”, ma – più cautamente, forse – eleva a “libertà” costituzionalmente garantita l’autodeterminazione della donna circa le sorti della propria gravidanza, rendendola così “irreversibile” e attribuendo perciò soltanto alla legge il compito di determinare le condizioni secondo cui tale libertà possa declinarsi, con l’intento – evidentemente – di proteggerla da eventuali iniziative politiche o successivi Governi contrari che potrebbero metterla in discussione.
È una differenza sottile, che tuttavia non è priva di rilievo: “libertà” è termine che richiama l’aspetto negativo, di non costrizione. Libertà di far ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza significa, perciò, che ad essa non possono frapporsi impedimenti di alcun tipo, tanto meno legali. A fronte di tale libertà c’è dunque la pretesa di un atteggiamento “passivo”, di non intervento.
“Diritto”, invece, sottolinea l’aspetto positivo, di pretesa e, dunque, di comportamento “attivo” che può declinarsi in termini di azioni ed interventi mirati a renderlo effettivo.
Si parla perciò di libertà quando il soggetto vuole respingere lo Stato fuori dalle scelte individuali (libertà negative), mentre si parla di diritti quando il soggetto richiede azioni ed interventi mirati a renderli effettivi (diritti positivi).
Tuttavia, sia l’aspetto negativo (il non essere costretto) sia l’aspetto positivo (la richiesta d’intervento) sono compresenti e collegati in ogni libertà e in ogni diritto.
E, difatti, nello specifico, la circostanza che – secondo la nuova norma - spetti comunque alla legge di determinare “le condizioni in cui si esercita la libertà garantita…” significa che in qualche misura tale libertà vada disciplinata, piuttosto che confusa con il libero arbitrio. Ed ecco allora dove si colloca la vera novità: secondo la formulazione della nuova norma, il legislatore può, sì, decidere come declinare questa riconosciuta libertà, a condizione però che essa venga comunque garantita".
Del resto gli emendamenti che hanno infine portato all’attuale formulazione della norma è proprio su questo aspetto che si sono incentrati. Il testo originario del disegno di legge in parola, nella sua prima formulazione votata nel 2022 dall’Assemblea nazionale francese, prevedeva di inserire nella Costituzione il «diritto all’interruzione volontaria di gravidanza». Passato al Senato, era stato approvato a febbraio 2023 solo a seguito della sostituzione della parola «diritto» con l’espressione «libertà della donna» (modifica che aveva consentito di guadagnare il voto dei Repubblicani che, insieme ad altri partiti di destra e di estrema destra, erano contrari al suo inserimento nella Costituzione, sostenendo trattarsi di una misura superflua. Difatti, Il ricorso all’aborto è già garantito nel diritto francese dalla legge Simone Veil, approvata nel 1975). A fine 2023 il testo era stato definitivamente rivisto, modificando «libertà della donna» con «libertà garantita della donna».
Una considerazione è a questo punto da farsi: si è detto, tra l’altro, in questi giorni, che la volontà del governo francese di introdurre una garanzia costituzionale della libertà delle donne di interrompere volontariamente la gravidanza sia stata sollecitata (e sia stata anche una risposta) dai passi indietro fatti negli Usa con il ribaltamento da parte della Corte Suprema della storica sentenza del 1973, nota come Roe v. Wade.
Come si ricorderà, sulla base di quel precedente, la Corte Suprema americana aveva riconosciuto sussistere il diritto federale (perciò applicabile in tutti gli Stati) per la donna, di interrompere volontariamente la gravidanza unicamente per sua libera scelta e fino al momento in cui il feto non fosse scientificamente ritenuto in grado di sopravvivere in maniera autonoma al di fuori dell’utero materno. Per conseguenza, l’aborto era stato liberalizzato in tutti gli Stati dov’era illegale del tutto o ammesso solo in alcuni casi. Perciò, quando nel 2022 la Corte aveva rivisto il suo stesso precedente, evidenziando che non esiste un diritto all’aborto garantito dalla Costituzione degli Stati Uniti e, pertanto, che esso non può considerarsi un diritto federale, la conseguenza è stata che, nei diversi Stati hanno ripreso a vivere le leggi precedenti che la pronuncia del 1973 aveva superato o sono stati comunque lasciati liberi di legiferare in materia come avessero ritenuto più opportuno e corretto.
Naturalmente, come spesso accade quando la cassa di risonanza mediatica amplifica il risultato apparente rispetto alle cause e ai fondamenti (come già si è avuto modo di evidenziare in “Capiamoci”, in Fiscal Focus del 2 luglio 2022), si disse allora che quella pronuncia aveva determinato un salto indietro nel tempo, cancellando mezzo secolo di battaglie per i diritti delle donne, riproponendo un quadro ormai decontestualizzato rispetto allo stadio di evoluzione sociale raggiunto. Ed è evidentemente quello che ancora si crede.
Allora, se la “rivoluzione francese” appena varata ha voluto porsi in contrasto alla deriva americana ed a quella analoga tuttora presente in molti Stati europei più inclini al rifiuto dell’aborto (non ultima l’Italia, dove la solidità della Legge 194/78 è frequentemente minata), ha dato senz’altro un segnale forte di controtendenza.
Tuttavia è altrettanto evidente – viste le premesse appena fatte - che tale indirizzo non possa farsi passare per una svolta squisitamente garantista. Ricalca, piuttosto, una ben più precisa ideologia politica, sicuramente più sfrontata e moderna rispetto a quelle che propongono modelli (di famiglia, in particolare) più tradizionali e stantii, e per questo probabilmente meglio spendibile in vista d’un prossimo voto.
Insomma, un’elegante soluzione – forse – che sottilmente ribadisce che il contrasto tra destra e sinistra non è mai morto.