In un tranquillo vicolo cieco di Hong Kong, domenica scorsa si è riunita una grande folla.
Erano centinaia di persone che, incuranti della sottile pioggia che cadeva, erano lì accorse per dare un ultimo saluto.
Non ad un uomo, una donna, un leader politico o ad un personaggio famoso, no.
Quell’omaggio composto e silenzioso era per una libreria, una delle ultime – se non proprio l’ultima – delle librerie indipendenti rimaste aperte nella città.
La “Mount Zero” aveva annunciato qualche mese fa che avrebbe chiuso i battenti ad aprile. Una scelta non volontaria ma obbligata, resasi necessaria a causa delle molteplici denunce e ispezioni anonime che aveva continuato a subire. Accuse piccole, varie e perlopiù pretestuose: l’ultima era stata quella di aver occupato illegalmente il terreno demaniale, giacché era stato piastrellato il marciapiede davanti al suo ingresso. Dietro minaccia di multe e reclusione, era stato quindi necessario ripristinare la condizione preesistente.
Il vero obiettivo era tuttavia un altro: bloccare la fucina di idee, di scambi culturali, di incontri e di confronto che quel luogo era diventato da quando aveva aperto, circa sei anni fa.
Nel 2020 – ventitré anni dopo la fine della colonia britannica ed il ritorno di Hong Kong sotto la sovranità cinese – la Cina ha difatti definitivamente approvato la “legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong”, che vieta e criminalizza qualsiasi atto di secessione, sedizione e sovversione da parte della Regione amministrativa speciale di Hong Kong contro il Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese.
Anche il solo parlare apertamente o il promuovere a voce la secessione di Hong Kong dalla Cina costituiscono perciò reato; e il risultato è, dunque, una sostanziale limitazione della libertà di parola.
Le autorità sono dunque autorizzate a sorvegliare, perquisire e arrestare le persone sospettate in base alla suddetta legge e a richiedere all'editoria, ai servizi di hosting e agli Internet providers di rimuovere o limitare i contenuti che si ritiene siano in contrasto con essa.
Un bavaglio, insomma, che ha evidentemente le sue ricadute in ogni ambiente deputato alla cultura, dove le opinioni potrebbero liberamente circolare, coadiuvate dalla lettura di testi che siano invisi e censurati dal regime.
Dall’entrata in vigore di quella legge, infatti, il settore culturale ha avuto enormi risentimenti e le poche librerie rimaste ad Hong Kong sono sopraffatte dalla pressione dei controlli e dalle censure delle autorità.
Ma, a dire il vero, anche prima d’allora ci sono stati diversi episodi intimidatori o repressivi diretti proprio al settore della divulgazione, e le librerie indipendenti sono state i bersagli maggiori. Nel 2015 cinque librai della Causeway Bay Books di Hong Kong (libreria molto popolare tra i turisti provenienti dalla Cina continentale alla ricerca di libri sulla politica e sui politici cinesi che da loro non erano disponibili) sono scomparsi misteriosamente, per poi ricomparire in immagini che li riprendevano nelle carceri dove erano stati reclusi.
La Mount Zero andava dunque chiusa. Rappresentava una minaccia, un pericoloso spazio di libertà.
Sulla sua porta d’ingresso campeggiava emblematicamente la scritta “le idee sono a prova di proiettile”; e domenica scorsa, molti sostenitori accorsi ad accomiatarsi hanno indossato una borsa appositamente progettata come souvenir d'addio, su cui era scritto: “Dalle parole alla prosperità”, un’evidente parodia della frase “dalla stabilità alla prosperità”, usata dal governo cinese dopo che con la legge sulla sicurezza nazionale ha soffocato le proteste e i disordini pro-democrazia iniziati l’anno prima.
Il ristorante vicino ha messo a disposizione il proprio spazio per consentire alla libreria di esporre più libri, futuri ex libris tra gli scaffali dei salotti di chi quel giorno ha deciso di esserci. Più tardi, ha pure concesso i suoi tavolini dove la libreria ha servito agli ultimi suoi clienti zuppa di piselli, biscotti e carne di maiale alla griglia.
Poi, alle 19, le luci nella Mount Zero si sono abbassate; la gente ha applaudito a lungo; infine, il buio è sceso per sempre.
Non solo dentro il negozio, ma su un angolo di civiltà.
Perché per ogni libreria costretta a chiudere ad Hong Kong - o in qualunque altrove nel mondo ove si lotti per la libertà e l’indipendenza – è anche la democrazia a spegnersi.
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