Dopo il caso delle bottigliette di Coca-Cola, ad animare i tempi morti di “Euro 2020” ci ha pensato il premier Draghi, che nel corso della conferenza stampa a conclusione dell’incontro con la cancelliera tedesca Angela Merkle ha lanciato un sasso nello stagno, mettendo in dubbio semifinali e finale del campionato Europeo allo stadio di Wembley, a Londra, per via dei contagi in aumento registrati nel Regno Unito.
Il dubbio era già nato qualche giorno prima negli ambienti Uefa, perplessi dall’obbligo da un doppio passaggio: la quarantena a cui è obbligato chi entra nel Regno Unito e la capienza dello stadio limitata al 50% (22.500 spettatori sui 90mila disponibili), ma è stata l’uscita del premier italiano ad aprire definitivamente il caso. Oltre a Roma - elegantemente non citata da Draghi – si è profilata l’ipotesi di un piano “B” che includeva anche Budapest o Monaco di Baviera.
Le reazioni non si sono fatte attendere: dal numero 10 di Downing Street, il ministro britannico della salute Matt Hancock ha replicato in modo secco, confermando che le fasi finali di Euro 2020 saranno ospitate a Wembley, con ingresso consentito al 50% del pubblico, quindi 45mila persone. Il governo inglese, secondo indiscrezioni, pur di non perdere un’occasione milionaria di business sarebbe ad un passo dal trovare un nuovo accordo con la Uefa, che pretende per la finale la sospensione delle misure restrittive nei confronti delle 2.500 persone fra ospiti, dirigenti sportivi, autorità, politici, Vip, sponsor e giornalisti invitati dalla Federazione per l’11 luglio prossimo.
L’ipotesi è di creare una sorta di “salvacondotto temporaneo” che metta d’accordo la norma dell’isolamento limitando al massimo la permanenza sul suolo inglese, senza che nessuno sia costretto ai 10 giorni di quarantena obbligatori previsti per chiunque entri nel Regno Unito. Ma chiunque a certi livelli non significa tutti, ora finalmente è chiaro.
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