Le esenzioni fiscali e i prezzi delle case che dal 2009 avevano attirato verso il Portogallo poco meno di 4.000 italiani e altri 10mila fra francesi e inglesi in cerca di un “buen retiro” dove i soldi della pensione avevano finalmente un peso specifico maggiore, si sono infranti a partire dal 1° gennaio scorso, quando il governo di António Costa ha deciso di mettere la parola fine al “NRH” (Nao Residente Habitual), il pacchetto di privilegi fiscali riservati ai residenti non abituali, annunciato in una conferenza stampa dallo stesso premier portoghese: “Il mantenimento della misura equivarrebbe a prolungare una misura di ingiustizia fiscale che si è dimostrata del tutto iniqua”.
Addio quindi al privilegio del 10% riservato ai pensionati che trascorrevano almeno sei mesi in Portogallo – concentrati soprattutto fra Lisbona e l’Algarve del sud - per cui in realtà fino al 2020 l’esenzione era addirittura totale, mentre si limitava al 20% per professionisti e nomadi digitali. Un’invasione pacifica che secondo le analisi del governo di Lisbona avrebbe causato l’aumento indiscriminato dei prezzi degli immobili, saliti del +78 fra il 2012 e il 2021 ed un aumento di spesa fiscale per i non residenti salita a 1.507,7 milioni di euro, il 18% in più. La nuova misura, fortemente voluta da Bruxelles, si applica esclusivamente ai nuovi arrivati, escludendo chi è residente gode delle agevolazioni.
Secondo l’Inps, le pensioni pagate all’estero, per l’esattezza in 165 Paesi diversi, sono 317.254, il 3% del totale, ma sarebbero per lo più rappresentate da genitori che hanno raggiunto all’estero i figli – nomadi digitali - e non viceversa. Un flusso che avrebbe potuto essere invertito dalle agevolazioni per favorire il rimpatrio dei lavoratori italiani all’estero, misura tristemente tagliata dal governo nella recente manovra.
E se un numero compreso fra 40 e 50mila persone negli ultimi anni scelto di andare via dall’Italia non solo per motivi fiscali, preferendo Canbada, Germania, Svizzera, Australia e Francia, fra le mete che ancora restano appetibili per chi è fuori dal mondo del lavoro spiccano la Grecia, dove i pensionati stranieri sono accolti con un’unica aliquota fiscale del 7% concessa per 15 anni, ma anche Cipro, isola stranamente poco battuta dai nostri connazionali in quiescenza malgrado il clima clemente tutto l’anno, Paese che forte di 45 trattati sulla doppia imposizione fiscale e un costo della vita tra i più bassi nella UE, ha ancorato l’equivalente della nostra Irpef alla soglia di 19.500 euro, in cui rientra abbondantemente la “minima” italiana. In pratica, una pensione mensile al di sotto dei 1.500 euro gode della fascia no tax area, mentre fra 1.500 e 2.500 si limita a tassare il 2,5%, cifra che sale di un punto, al 3%, per le pensioni oltre i 3.500 euro al mese.
Pochi, un centinaio, anche i pensionati italiani che hanno optato per Malta, malgrado un sistema fiscale assai vantaggioso basato su un’aliquota fissa del 15% per un minimo di 7.500 euro all’anno. Stesso principio per il Marocco e la Tunisia, Paesi in cui la free tax per i pensionati stranieri copre fino all’80% della pensione, gravata di un misero 5% soltanto sul restante 20%. L’imposta sulle persone fisiche oscilla dallo 0% per le pensioni fino a 1.500 euro al mese e al 35% sopra i 50mila annui.
Due soli gli scaglioni in Croazia: 12% per pensioni fino a 2.300 al mese, 18% per tutti gli altri. Meta da sempre assai ambita resta la Spagna, in particolare le assolate Canarie, dove il sistema fiscale è costellato di esenzioni e riduzioni che toccano anche le spese mediche. La detrazione massima sull’arcipelago è pari a 6.500 euro per chi ha un’età compresa fra 65 e 75 anni, che sale a 7.000 per chi è più vecchio.
Quelli che non amano il caldo dei Paesi mediterranei in genere ripiegano su Bulgaria e Romania, in cui vale una sola aliquota del 10% a patto di non avere soltanto la residenza fiscale ma anche la cittadinanza. Per chiudere con Albania e Slovacchia, dove l’esenzione per tutti i cittadini UE è totale.