Più o meno dieci anni fa, nel settembre del 2014, entrava in vigore l’omologazione “Euro 6”, nome con cui è meglio conosciuto l’allora più avanzato standard europeo obbligatorio sulle emissioni inquinanti per i veicoli di nuova immatricolazione venduti all’interno dell’Europa.
Ma adesso, un decennio dopo, il Parlamento e il Consiglio UE hanno raggiunto l’accordo per approntare lo step successivo a “Euro 7”, ovvero un pacchetto frutto di un accordo che per la prima volta regola con precisione le emissioni per ogni categoria di veicoli circolanti.
Arrivare ad un documento comune, con il triplo obiettivo di puntare sempre più alla mobilità pulita, ma anche di mantenere i prezzi dei veicoli accessibili e in più l’obbligo di far rispettare gli standard per l’intero ciclo vita del veicolo, è costato un anno intero di incontri e mediazioni che mettessero d’accordo tanto richieste e proteste dei Paesi membri (Italia, Francia, Spagna e Repubblica Ceca in primis), quanto quelle delle case produttrici, preoccupate dalla mole di investimenti necessari per dare l’addio definitivo a benzina e diesel, come inizialmente (e frettolosamente) annunciato dalla presidente Von der Leyen.
In realtà, i limiti delle emissioni di ossido di azoto, monossido di carbonio, idrocarburi e particolati rimangono del tutto invariati rispetto ad Euro 6, ma l’accordo introduce limiti per le particelle solide con un diametro non inferiore a 10 nm (PM10), anziché 23 Nm previsto dalla normativa precedente. Un cambiamento fondamentale, perché accoglie nella misurazione le particelle di dimensioni inferiori che rischiano di penetrare più in profondità nell’organismo causando potenziali danni alla salute, ed altri elementi inquinanti come il protossido di azoto (N20), gas serra che calcolato sull’orizzonte temporale di un secolo ha un impatto sul riscaldamento globale 298 volte superiore alla CO2.
A produrre più N20 sono autobus e autocarri pesanti attraverso il logorio degli pneumatici e le particelle rilasciate dagli impianti frenanti, causa a loro volta del rilascio di microplastiche nell’ambiente e di particolato fine disperso nell’aria.
Il testo fissa anche dei requisiti minimi di durata delle batterie delle auto elettriche e ibride, previsto nell’80% dall’inizio del ciclo di vita a cinque anni o 100mila km e 72% fino a otto anni o 160 mila km, mentre per i furgoni i due parametri temporali partono dal 75 e arrivano al 67%. La maggiore durata limiterà tanto gli oneri di manutenzione quanto la necessità della sostituzione precoce riducendo l’estrazione di materie prime critiche e lo smaltimento dell’usato. Ma Euro 7 si spinge oltre, arrivando a mettere mano sul ciclo vita di auto e furgoni, che dovranno essere garantiti per 10 anni o 200mila km. La storia di ogni mezzo circolante sarà riportata sul “Passaporto ambientale del veicolo”, dove saranno racchiuse informazioni sul rilascio di sostanze inquinanti, emissioni di CO2, consumo di carburante e di energia elettrica, autonomia elettrica e durata della batteria. I consumatori riceveranno anche dati aggiornati sul consumo di carburante, stato di funzionamento degli accumulatori, impatto ambientale e dettagli su sistemi e ai monitor di bordo.
Prima di diventare esecutivo all’accordo manca solo la firma dei Presidenti di Parlamento e Consiglio che daranno il via libera alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale UE. A quel punto scatteranno 30 mesi per i nuovi tipi di auto e furgoni, 42 mesi per le autovetture e i furgoni nuovi, 48 mesi per nuovi tipi di autobus, autocarri e rimorchi e 60 mesi per autobus, autocarri e rimorchi nuovi. Trenta mesi anche per nuovi sistemi, componenti o entità tecniche indipendenti da installare su autovetture e furgoni e 48 mesi per quelli da installare su autobus, autocarri e rimorchi. Per i veicoli di produttori di nicchia, le disposizioni si applicheranno dal 1° luglio 2030 per auto e furgoni e dal 1° luglio 2031 per autobus e camion.
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