È di fatto passata la proposta di Joe Biden, uno dei punti fermi della “global minimum tax”, la riforma della tassazione internazionale presentata dall’amministrazione americana che include la lotta ai paradisi fiscali ma soprattutto offre modo alle finanze dei vari Paesi di poter contare su capitali utili nei grandi investimenti pubblici. Una proposta che ha avuto l’approvazione di 130 paesi dell’OCSE che rappresentano il 90% del Pil mondiale, rimandando alla concreta possibilità che l’accordo sia firmato nel corso del G20 in programma la prossima settimana a Venezia.
Un’intesa che il segretario del Tesoro americano, Janet Yellen, ha definito “Una giornata storica per la diplomazia economica. Per decenni, gli Stati Uniti hanno partecipato a una competizione internazionale sulle tasse, riducendo le loro imposte solo per vedere altri ridurle ancora di più. Il risultato è stata una corsa globale al ribasso che finalmente arriva alla fine. Nessuno ha vinto una gara che non solo non ha attirato nuovi business, ma piuttosto ha privato i paesi di risorse importanti per investimenti, infrastrutture, istruzione e la lotta alla pandemia”.
“Dopo anni di trattative e di intenso lavoro, questo pacchetto storico assicurerà che le multinazionali paghino la giusta quota di tasse ovunque”, ha aggiunto Mathis Cormann, segretario generale dell’Ocse, secondo le cui stime dall’elusione fiscale dei grandi gruppi i governi finora hanno perso tra 100 e 240 miliardi di dollari ogni anno. Soddisfazione anche da parte del commissario europeo per l’economia Paolo Gentiloni, che auspica piena fiducia da parte del G20 in vista del meeting di Venezia.
Poco entusiasmo, al contrario, da Paesi come Irlanda, Ungheria, Estonia, Kanya, Nigeria, Perù e Sri Lanka, che grazie alle bassa tassazione attirano aziende e investimenti.
Secondo la bozza dell’accordo, ciascuno dei 130 Stati partecipanti è tenuto a varare leggi per imporre alle società che hanno sede nei loro Paesi un’aliquota pari almeno al 15%. Una svolta su cui si lavora da tempo, spesso franata di fronte alla necessità che ad adottarla fosse una consistente maggioranza fatta di potenze economiche e paesi in via di sviluppo.
Al complicato quadro della riforma fiscale mondiale manca ancora la “corporate tax globale” che Biden vorrebbe alzare in patria dal 21 al 28%, raddoppiando anche quelle relativi ai profitti esteri delle aziende americane.
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