Il grande comico americano John Belushi, agli amici in crisi esistenziale o in depressione amava ripetere: “Se pensi che a nessuno importi se sei vivo, prova a saltare un paio di rate del mutuo”.
Non aveva torto, specie in un periodo storico come questo, in cui l’aumento dei tassi sul costo del denaro ha reso l’esperienza del mutuo un tunnel oscuro a cui qualcuno ha pensato fosse più divertente togliere i cartelli che indicano l’uscita. A picchiare duro sui conti delle famiglie è il tasso di interesse, ovvero il parametro che permette di calcolare la rata mensile da restituire a banche o finanziarie in proporzione al capitale richiesto e alla durata del prestito.
In pratica, come ha semplificato la BCE, il tasso di interesse indica il costo del denaro preso in prestito, così come – al contrario – rappresenta l’interesse, o il rendimento, di ciò che si è investito, e quindi prestato a nostra volta alla banca.
I tassi di interesse, secondo una definizione che rappresenta l’ABC degli economisti, si dividono nominali e reali. I primi rappresentano ciò che effettivamente viene concordato e pagato, ed è il risultato della somma dell’indice di costo del denaro per quantificare gli interessi e dello “spread”, il margine fisso richiesto dalla banca. Il tasso di interesse reale, al contrario, è quello che gli economisti definiscono “potere di acquisto della moneta”, cioè ciò che realmente si può acquistare con il denaro, un indice che diminuisce progressivamente per l’erosione dell’inflazione e l’aumento dei prezzi.
Il passaggio successivo riguarda TAN e TAEG: per farla breve, il primo si riferisce al tasso di interesse su base annua, il secondo tiene conto del costo totale del finanziamento, e include le spese accessorie (istruttoria, perizia, ecc.) e le commissioni, che cambiano da banca a banca e incidono in modo sostanziale sul costo del mutuo.
Il tasso di interesse su un mutuo o un finanziamento si può basare su meccanismi diversi, e in genere viene distinto in tasso fisso e tasso variabile, con o senza tetto massimo, e tasso misto.
Diventa fondamentale la scelta, che può variare di molto grazie anche a periodi di offerte e promozioni.
Il tasso di interesse fisso non risente dei saliscendi dei mercati e mantiene la rata fissa per tutta la durata del finanziamento. Ad un vantaggio che appare subito evidente, corrisponde però uno svantaggio: si tratta di mutui più costosi rispetto a quelli variabili, con un importo della rata fissa decisamente più alto. Va da sé che il tasso di interesse variabile risenta invece di tutte le bizze e le crisi dei mercati basandosi sul costo del denaro, l’Euribor e i tassi BCE. Il vantaggio è partire quasi sempre da una rata più bassa ma che può cambiare ad ogni mese. Si tratta di un tipo di finanziamento che storicamente era considerato il più appetibile e che per anni – forte dei tassi BCE al minimo – non dava brutte sorprese. Ma negli ultimi mesi, l’aumento dei tassi stabilito dalla Banca Centrale Europea per combattere l’inflazione ha fatto lievitare le rate dei mutui in modo imprevedibile.
L’ultimo caso è il tasso di interesse misto, che su richiesta può essere cambiato da fisso a variabile, ma sono diversi quelli che prevedono dei limiti invalicabili: il “cap”, il tetto di interesse massimo, e “floor”, quello minimo.
Per finire la breve carrellata con il tasso di mora che viene applicato in caso di mancato o ritardato pagamento di una rata, scelta che può avere ripercussioni pesanti portando il debitore a ritrovarsi nella sgradevole definizione di cliente “moroso” che fa scattare l’obbligo di pagare interessi sulle rate non pagate, in cui sono calcolati capitale e interessi.
Esiste comunque una norma di salvaguardia che vieta il principio dell’anatocismo, ovvero la produzione di interessi da altri interessi non pagati o scaduti. In pratica, gli interessi maturati si trasformano in capitale, ossia sono sommati all’importo dovuto e producono a loro volta interessi.
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