Lunedì scorso il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC, gruppo scientifico formato dall’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) e dal Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP), che dal 1988 si occupa di studiare il riscaldamento globale) ha pubblicato il nuovo rapporto di sintesi sullo stato delle conoscenze sul cambiamento climatico, i suoi impatti e i rischi diffusi.
Nelle sue trentasei pagine, il documento sintetizza – appunto – analisi e ricerche già diffuse al fine di renderle più facilmente fruibili da parte dei governi degli Stati chiamati a concordare e adottare nuove politiche per mitigare gli effetti del riscaldamento globale.
Si struttura, difatti, in tre parti, dedicate rispettivamente a: lo stato attuale e le tendenze; i cambiamenti climatici futuri, con individuazione di rischi e risposte a lungo termine; risposte a breve termine.
Come enuncia nella sua introduzione, il rapporto “riconosce l'interdipendenza tra clima, ecosistemi e biodiversità e società umane; il valore delle diverse forme di conoscenza; gli stretti legami tra adattamento ai cambiamenti climatici, mitigazione, salute degli ecosistemi, benessere umano e sviluppo sostenibile” riflettendo, al tempo stesso, “la crescente diversità degli attori coinvolti nell'azione per il clima”.
E va dritto al punto, rimarcando come, senza interventi rapidi e costosi investimenti, i danni causati al pianeta dalle attività umane ben presto saranno in gran parte irreversibili e avranno enormi conseguenze. «La finestra di opportunità per garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti si sta rapidamente chiudendo», profetizza il documento, sollecitando ad agire in fretta e con misure drastiche, ricordando che, mantenendo gli attuali standard, non sarà possibile raggiungere l’obiettivo prioritario di impedire che il riscaldamento globale superi il limite di 1,5 gradi fra 12 anni, nel 2035. Si stima, infatti, che fino a oggi le attività umane abbiano provocato un aumento medio di almeno 1,1 gradi.
Il rapporto dettaglia quali sono gli ambiti su cui bisogna decisamente intervenire per avere effetti immediati, individuando in particolare la necessità di una drastica riduzione dell’impiego di combustibili fossili per limitare le emissioni di gas serra, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica, ossia un bilancio pari a zero di anidride carbonica immessa in atmosfera.
A tal proposito, il segretario generale dell’ONU, António Guterres – che ha definito il rapporto “una guida per disinnescare la bomba a orologeria del clima” – ha chiesto che tutti i paesi sviluppati anticipino al 2040 (rispetto al 2050, come era stato stabilito dall’accordo sul clima di Parigi del 2015) i propri obiettivi per raggiungere la neutralità carbonica, giacché essi, in quanto più ricchi, hanno la responsabilità di agire più in fretta rispetto a quelli più poveri, i quali viceversa patiscono maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici proprio a causa delle attività compiute nei decenni passati dai paesi sviluppati.
Il rapporto precisa, peraltro che raggiungere la neutralità carbonica non significa smettere del tutto di produrre gas serra quanto, piuttosto, rimuoverne una quantità pari a quella che viene immessa nell’atmosfera. L’azione deve essere perciò combinata: da una parte occorre ridurre le emissioni, dall’altra bisogna incrementare gli strumenti per rimuovere gas serra dall’atmosfera (ad esempio piantando alberi o catturando direttamente CO2).
Il documento illustra, poi, quali sono stati i più evidenti danni concreti causati dai cambiamenti climatici: diminuzione della fauna marina, riduzione della produttività delle aziende agricole a causa della prolungata siccità o, viceversa, delle alluvioni; aumento delle malattie infettive; frequenza insolita di eventi meteorologici estremi. E conclude rilevando che le infrastrutture costruite dagli esseri umani, i loro sistemi economici e i loro settori produttivi, nell’attuale società, si sono mostrati molto più vulnerabili di quanto si potesse prevedere anche a piccoli cambiamenti climatici.
In maniera altrettanto diretta allerta sull’inadeguatezza di alcuni interventi decisi per arginare il problema delle emissioni: “Il budget allocato per aprire nuove infrastrutture fossili non è in alcun modo compatibile con l’obiettivo di evitare un aumento delle temperature di 1,5 gradi”.
Insomma, non manca nulla: dalla descrizione della situazione con tutta la drammaticità delle sue tinte all’accusa di inefficacia degli interventi finora adottati, fino al monito di dovere acquisire una maggior sensibilità e coscienza del problema.
Eppure non sembra che questo rapporto abbia avuto una grande eco, o, comunque, ne ha avuto senz’altro meno rispetto a quella che è seguita alle gesta degli attivisti messi alla gogna per qualche blocco stradale e quattro schizzi di vernice.
Non pare nemmeno che siano realmente decisi e determinati i rimedi pensati e sbandierati, giacché, anzi, pare che ogni volta che sta per approssimarsi una scadenza, si trova il modo per procrastinare “le consegne” cui ci si era impegnati. Quando invece i tempi andrebbero accelerati, senza frapporne in mezzo: niente più auto a benzina e diesel da subito e da subito anche dotazione di cappotti termici e pannelli solari a tutte le abitazioni, anziché tra dieci o quindici anni!
E intanto la situazione peggiora, con inverni sempre meno freddi ed estati sempre più calde; con livelli di anidride carbonica nell’atmosfera cosi concentrati che persino il più grande polmone della terra, la foresta amazzonica, sempre più saccheggiata, fatica a contrastare.
Verrebbe da domandarsi se, oltre che dei livelli delle emissioni, non ci manchi pure la misura della nostra coscienza del problema; se lo ignoriamo per indifferenza o se non facciamo altro che adeguarci all’esempio (piuttosto diffuso) di una politica che a sua volta sembra ignorarlo, che non sembra affatto allarmata come invece sarebbe opportuno, presa com’è da tante altre priorità e sfumature di colore (anche quello delle vernici lanciate contro i palazzi) e da conti che non quadrano mai – da relegare in secondo piano temi che più d’ogni altro ci parlano di futuro. Senza tener conto che non si tratta del futuro di un governo o di una nazione, fatti di uomini, ma di quello di un pianeta intero. Fatto di tutta l’umanità.