Sbarcato in Europa alla metà degli anni Ottanta a cominciare da Londra, sospinto dell’irresistibile spirito della “West Coast” americana, il gruppo “GAP” ha deciso di gettare la spugna: entro l’anno chiuderà un totale stimato in 225 punti vendita scegliendo la strada a senso unico dell’online.
È un’altra vittima collaterale della pandemia che questa volta ha colpito e affondato un’azienda storica che aveva prima deciso di rivedere la propria presenza in Francia e Italia, aggiungendo via via Regno Unito e Irlanda, fino a capire che era arrivato il difficile momento di ridimensionare la propria presenza in tutta Europa e di rivedere anche in modo drastico anche i punti vendita presenti in patria, negli Stati Uniti. L’azienda ha spiegato la decisione attraverso le difficoltà imposte dalle nuove “dinamiche di mercato” aggiungendo che il programma delle chiusure avverrà in modo graduale fino alla fine di settembre.
In Italia, il gruppo – che comprende anche i brand Banana Republic, Old Navy, Piperlime e Athleta – è presente con 10 punti vendita, e all’annuncio sono seguite le proteste di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs, che lamentano il silenzio dell’azienda riguardo ai posti di lavoro persi nel nostro Paese, con in più la pretesa di gestire le chiusure ricorrendo alla cassa integrazione in deroga.
Il marchio GAP, il cui nome deriva dal “generation gap”, il distacco generazionale dei “baby boomers” negli anni Sessanta, fu fondato con un capitale di 63mila dollari a San Francisco nel 1969 da Donald e Doris Fisher, due coniugi infastiditi dell’idea di non riuscire a trovare un paio di jeans che vestisse bene. Una politica commerciale assai semplice ma sufficiente per quegli anni: i jeans per ogni taglia, comprese quelle difficili, e prezzi concorrenziali hanno fatto il resto. Meno di dieci anni dopo, quella che è ancora oggi considerata una delle prime startup americane era già quotata in borsa, sia a New York che alla Pacific Stock Exchange.
Alla fine degli anni Settanta, GAP amplia l’offerta concentrandosi su linee di t-shirt, maglieria e pantaloni, finendo poi per allargare l’offerta fino a bambini e neonati. Ancora oggi, gli eredi della famiglia Fisher detengono un’importante quota del capitale.
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