Con uno striminzito comunicato pubblicato sul sito ufficiale della Commissione Europea lo scorso 16 luglio è stata annunciata la firma del Memorandum d’Intesa tra l’UE (rappresentata dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, dal Presidente del Consiglio italiano e dal premier olandese) e la Tunisia (in persona del suo Presidente Kaïs Saied) relativo all’attuazione del pacchetto di partenariato globale già in precedenza annunciato, l’ 11 giugno.
Partendo dalla premessa dell’opportunità di rafforzare un rapporto reciprocamente vantaggioso e di “rinvigorire i legami politici e istituzionali, con l'obiettivo di affrontare insieme le sfide internazionali comuni e preservare l'ordine basato sulle regole”, l’accordo si snoda attorno a cinque pilastri: stabilità macroeconomica, commercio e investimenti, transizione verso l'energia verde, contatti interpersonali e migrazione.
Riguardo a quest’ultima, nel documento dell’11 giugno si era enunciato: “Nell'ambito del nostro lavoro congiunto sulla migrazione, la lotta contro la migrazione irregolare da e verso la Tunisia e la prevenzione della perdita di vite umane in mare sono una priorità comune, compresa la lotta contro i contrabbandieri e i trafficanti di esseri umani, il rafforzamento della gestione delle frontiere, la registrazione e il pieno rimpatrio rispetto dei diritti umani.”
In concreto, però, sull’accordo siglato domenica scorsa, non sono state fornite indicazioni dettagliate: si è rimasti su un livello generico di cui è stato reso noto soltanto l’impegno dell’UE a fornire sostegno finanziario a Tunisi per migliorare il suo sistema di ricerca e soccorso in mare, il pattugliamento delle acque territoriali e il controllo delle frontiere.
Secondo fonti europee, l’UE elargirà un consistente contributo economico (si parla di qualche centinaio di milioni di Euro) e potenzierà la flotta della Guardia Costiera tunisina con 17 imbarcazioni riequipaggiate e otto nuove, aspettandosi così un aumento delle operazioni per intercettare i migranti in mare.
Peccato, però, che nell’intesa manchi la formulazione di dettaglio rilevante: non vi si prevede infatti una zona di ricerca e soccorso (Sar) di competenza di Tunisi, il che significa che la Guardia Costiera locale potrebbe non essere obbligata a interventi in caso di emergenza.
Il Presidente tunisino, dal canto suo, ha peraltro dichiarato di essere disposto a favorire il rimpatrio dei soli cittadini tunisini arrivati irregolarmente in Europa ribadendo però, categoricamente, di non volere che la Tunisia diventi un Paese che faccia da centro di accoglienza per tutti gli altri migranti irregolari rimpatriati dall’Europa, con ciò precisando di voler controllare “soltanto le sue frontiere”.
Tradotto in termini più chiari, ciò vuol dire che non è disposto ad aprire dei campi profughi o dei centri in cui riportare anche i migranti non tunisini, come invece aveva proposto l’Europa nel corso dei negoziati.
Già tanto basterebbe a porre dubbi su quali davvero siano gli obiettivi reali raggiunti con tale accordo, dacché, evidentemente, la questione dell’accoglienza degli irregolari non tunisini ne resta fuori.
Ma c’è anche dell’altro, ed è la palese contraddizione tra quanto sancito da un accordo secondo cui per l’Europa la Tunisia è un “paese sicuro” per le migrazioni ed il notorio atteggiamento del suo Presidente che, viceversa, convinto che la presenza dei subsahariani nel suo Paese risponda ad un complotto e sia lo strumento di un piano di sostituzione etnica, continua a scacciare migliaia di migranti verso la frontiera.
Da Sfax, il principale punto di partenza tunisino per Lampedusa, arrivano quotidianamente immagini e notizie di una vera e propria caccia al migrante messa in atto da militari e anche da comuni cittadini che, armati di machete, inseguono gli africani sub-sahariani per le strade, devastano le loro case, li derubano, violentano donne davanti ai loro figli.
Dall’inizio di luglio, le forze di sicurezza tunisine hanno deportato circa settecento persone di origine subsahariana nel deserto al confine tra Tunisia, Libia e Algeria: le hanno lasciate lì, sotto il sole a 47 gradi, senza acqua né cibo.
Eppure, durante il vertice del 16 luglio di questo non si è parlato!
Quale ipocrita condotta è allora quella di un’Europa che, nel formulare dichiarazioni d’intenti dirette a tutelare la dignità ed i diritti umani si volta dall’altra parte di fronte all’evidenza contraria?
Unanime è stata perciò la reazione delle organizzazioni non governative, che hanno definito “accordo della vergogna” l’intesa di domenica scorsa, rilevando che l’aver concentrato le politiche ed i finanziamenti europei sul contenimento e sull’esternalizzazione del controllo delle frontiere anziché sulla creazione di percorsi sicuri e legali per coloro che cercano di attraversarle, rende di fatto l’UE complice delle sofferenze che inevitabilmente deriveranno per tanti migranti disperati.
Mi sento allora di sottoscrivere il lapidario ma efficace commento rilasciato da ‘Refugees in Tunisia’, la rete civile di solidarietà costituitasi tra i migranti che fuggono dal regime del Presidente Kais Saied: “Quando interesse e umanità sono in conflitto, l’interesse vince sempre. C’è chi ancora pensa che esistano i diritti umani. È la più grande bugia della storia”.