26 marzo 2025

Irpef, lo “scherzetto” del governo costa 250 milioni

Autore: Martina Giampà
Prima il danno, poi la corsa ai ripari. Negli ultimi giorni, si è accesa la discussione tra CAF, CGIL e il governo riguardo a un maggiore carico fiscale per dipendenti e pensionati. In sostanza, ci sono più soldi da pagare rispetto a quanto inizialmente previsto.

Il focus della discussione è sulla disciplina delle nuove aliquote Irpef confermata anche per il 2025 che, pur rappresentando il primo step della riforma fiscale, ha determinato importanti criticità sugli acconti nella dichiarazione dei redditi che dovrà essere presentata nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

Le segnalazioni di CAF e CGIL

Nei giorni scorsi i CAF hanno segnalato che i lavoratori dipendenti potrebbero dover pagare l’anticipo dell’Irpef per il 2025, anche se non hanno guadagno di più rispetto ai redditi già tassati turante l’anno.

Questo problema nascerebbe dall’introduzione della normativa che ha ridotto l’aliquota Irpef dal 25% al 23% per i redditi fra 15.000 e 28.000 euro e ha aumentato una detrazione per i lavoratori dipendenti da 1.880 euro a 1.955 euro. Tuttavia, per calcolare l’anticipo delle tasse per il 2024 e il 2025, bisogna usare le vecchie aliquote del 2023.

Nei giorni scorsi, la CGIL ha sollecitato un intervento urgente da parte del governo per unificare le aliquote Irpef e aggiornare il calcolo degli acconti in base alle nuove detrazioni.

Il governo risponde, ma la correzione costa 250 milioni

Con un comunicato stampa MEF il governo spiega che l’intenzione originale della legge era di applicare queste nuove regole solo per chi deve pagare più Irpef oltre a ciò che era stato già trattenuto durante l’anno.

In particolare, l’incongruenza evidenziata dai CAF deriva dal fatto che le aliquote, gli scaglioni e le detrazioni Irpef sono stati in una prima fase modificati in via temporanea, per un solo periodo d’imposta (2024), e successivamente stabilizzate a regime dal 2025.

Inoltre, si chiarisce che la disposizione riguarda solo gli acconti IRPEF dovuti dai contribuenti che, nella dichiarazione dei redditi, mostrano un saldo a debito. Questo vale per chi ha redditi aggiuntivi rispetto a quelli già soggetti a ritenuta d'acconto. L’intenzione iniziale del Legislatore, quindi, non era rivolta verso dipendenti e pensionati che, in mancanza di altri redditi, non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione.

La disposizione che ha suscitato tutti questi dubbi, secondo il governo va interpretata nel senso che l’acconto per l’anno 2025 è dovuto, con applicazione delle aliquote 2023, solo nei casi in cui risulti di ammontare superiore a euro 51,65 la differenza tra l’imposta relativa all’anno 2024 e le detrazioni, crediti d’imposta e ritenute d’acconto, il tutto però calcolato secondo la normativa applicabile al periodo d’imposta 2024.

In ogni caso, il governo interverrà dal punto di vista normativo per salvaguardare i contribuenti interessati e consentire l’applicazione delle nuove aliquote del 2025 per la determinazione dell’acconto.

La soddisfazione della CGIL

In una nota stampa la CGIL si è dichiarata estremamente soddisfatta di aver difeso le persone inducendo il governo a rivedere una norma profondamente ingiusta. Se alle parole seguiranno i fatti, e si interverrà per consentire l’applicazione delle tre aliquote 2025 per la determinazione dell’acconto Irpef, i salari e le pensioni di milioni di cittadine e cittadini, già pesantemente colpiti dall’altra inflazione cumulata in questi anni, non subiranno ulteriori riduzioni.
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