Quando si parla di prezzo dell’elettricità l’Italia trionfa, anche se c’è poco da festeggiare, perché significa che da queste parti è fra i più alti d’Europa. E non accenna ad andar meglio neanche di fronte a prezzi che dopo la fine della crisi energetica calano puntando verso la normalità. Anzi. Lo scorso gennaio, il prezzo medio italiano si aggirava su un quarto in più rispetto a quelli in vigore nel resto d’Europa, mentre adesso è addirittura più che raddoppiato. Sono calcoli e ragionamenti di Massimo Beccarello, economista all’Università Bicocca di Milano, raccolti nel documento “Fine tutela: brevi considerazioni sul paradigma competitivo del mercato elettrico italiano” realizzato per il Cesisp (Centro Studi in Economia e Regolazione dei Servizi, dell’Industria e del Settore Pubblico).
Il professore parte dalle analisi che hanno accompagnato la fine degli anni del mercato elettrico “tutelato”. “Il mercato libero dovrebbe consentire ad oltre nove milioni di utenze elettriche condizioni economiche più vantaggiose. Per sostenere questa tesi, le analisi considerano i prezzi delle utenze elettriche del 2022, anno nel quale emerge che i contratti sottoscritti dagli utenti nel mercato libero negli anni antecedenti, hanno condizioni di fornitura sicuramente migliori a quelle del mercato tutelato. Purtroppo, è una mezza verità. Bisogna infatti ricordare che tra il 2015 e il 2016, al fine di incentivare il passaggio dei clienti al mercato libero fu rimossa la possibilità per l’Acquirente Unico (che semplificando acquista l’energia per i soggetti tutelati) di effettuare coperture per stabilizzare i prezzi a beneficio dei consumatori (mediamente veniva assicurato per l’anno successivo il rischio prezzo per circa il 50% del portafoglio acquisti). Se nel 2021, quando era chiara l’escalation dei prezzi elettrici ulteriormente aggravata dal conflitto ucraino, si fosse consentito all’Acquirente Unico di coprirsi per il 2022 come accadeva fino al 2015, il contribuente italiano avrebbe risparmiato qualche miliardo di euro”.
Nel 2023, tanto per fare un esempio, gli italiani hanno speso per le bollette dell’elettricità una media di 960 euro, che significa il 23% in più dei vicini europei. Lo dice un altro calcolo, questa volta di “Facile.it”, che per l’analisi ha considerato il contratto tipo di una famiglia italiana (2700 kWh) confrontandolo con le tariffe energetiche europee rilevate da Eurostat.
I motivi del poco invidiabile primato? Impossibile non iniziare da tasse e oneri di sistema, che secondo il Mef pesano per 9,30 euro ogni 10 chilowattora. Ma un’altra delle cause principali, secondo il professor Beccarello, è che il 45% dell’elettricità italiana viene prodotta bruciando del preziosissimo (e carissimo) gas naturale, contro un 19% europeo.
Tra i paesi più virtuosi vale l’esempio della Spagna, che lo scorso anno è riuscita a ricavare il 48% dell’elettricità da fonti rinnovabili, ma val la pena citare anche la Francia, che si assicura il 65% del fabbisogno elettrico attraverso il nucleare, fonte che oltralpe ha un prezzo assai contenuto imposto dal Governo dopo aver assunto il controllo e ricapitalizzato la “EDF” (Electricité de France) ad un passo dal fallimento. In Germania la situazione è al limite del paradosso: in Europa è fra i più alti utilizzatori di rinnovabili ma altrettanto di carbone, il peggio che ci sia per l’ambiente. Per finire la breve carrellata con i paesi nordici, virtuosi per antonomasia: nel nord Europa le rinnovabili sono la normalità e il nucleare anche.
Da qui la situazione di stallo tipicamente italiana, che dopo aver detto no al referendum sul nucleare non ha mai avviato una seria e profonda trasformazione delle fonti di approvvigionamento elettrico. La strada per uscirne c’è, esiste, e passa attraverso una decisa accelerazione dei parchi eolici e fotovoltaici, su cui l’UE ha da poco consentito che l’energia prodotta possa essere venduta al costo delle rinnovabili e non del gas.
Decisioni che sarebbero perfino in linea con le garanzie date a Bruxelles dall’Italia, che ha promesso solennemente di realizzare almeno 70 gigawatt rinnovabili entro il 2030. Ma se valgono i due scarsi gigawatt prodotti finora fra il 2022 e l’anno scorso, diventa abbastanza evidente che i tempi si allungano su orizzonti difficilmente ipotizzabili, contando anche il cappio delle regioni italiane, che non amano affatto interrompere i propri paesaggi con le pale eoliche. Un ‘impasse’ bello e buono, quando invece “Servirebbero investimenti massicci in impianti molto vasti, i cosiddetti “utility scale” - spiega Beccarello - in modo da aumentare l’efficacia e abbattere i costi grazie alle economie di scala: una volta creati i parchi solari o eolici, il costo della generazione elettrica scenderebbe moltissimo”.
Il documento si conclude con un’inevitabile bacchettata a Bruxelles: “La Commissione dovrà riflettere attentamente e chiedersi come mai il mercato unico dell’energia non sia riuscito a restituire “prezzo unico” a livello europeo (o quantomeno convergente) dopo oltre 25 anni di liberalizzazione. La concorrenza è importante per il consumatore, ma il mercato, quale strumento per favorire il benessere sociale, non dovrebbe essere perseguito in modo dogmatico. Piuttosto, dovrebbe essere adattato alle nuove finalità di politica ambientale, per le quali il mercato elettrico è uno degli strumenti centrali per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità comunitari”.