Ancora una volta, per un altro anno di fila, la drammatica tendenza è confermata: il consumo di alcolici da parte di giovani e giovanissimi continua a registrare dati seriamente preoccupanti.
Lo rivela, come di consueto, la Relazione annuale sul consumo di bevande alcoliche nel nostro Paese, trasmessa dal Ministero della Salute al Parlamento ai sensi dell’art. 8 della Legge quadro nazionale sull’alcol n.125/2001, con l’obiettivo di individuare misure di contrasto atte a prevenire i rischi associati al consumo di alcol nella popolazione.
I dati elaborati in quest’ultima Relazione, presentata in Parlamento lo scorso giugno, ribadiscono difatti quanto già era noto: tra i circa 9milioni di individui a rischio di dipendenza da alcol, 800mila sono minorenni.
Ma i dati più significativi sono altri: anzitutto, sono le ragazze tra i 14 e i 17 anni a registrare il primato di consumo di alcol rispetto ai loro coetanei maschi; in secondo luogo, la modalità cui è collegato il consumo alcolico è pressoché esclusivamente collegata a giochi e sfide alcoliche, diffuse perlopiù tra i ragazzi di 18-24 anni, ma senza esclusione di utenza anche più giovane.
L’ennesima moda dunque; l’ennesimo insano strumento di ricerca di visibilità e plauso che continua a minare l’equilibrio e la sicurezza delle nuove generazioni.
Le principali tendenze sono due e, sebbene abbiano entrambe alla base quell’eccesso esibizionistico che nutre la fame di apparenza sempre più pretesa nell’universo social, sottendono tuttavia a ragioni psicologiche profondamente diverse che, della seconda soprattutto, rivelano una ben precisa e più grave radice patologica. Se l’una, infatti, può definirsi più orientata verso l’aspetto ludico, l’altra è invece più squisitamente collegata ad un disagio, che è quello sempre più diffuso di non saper accettare il proprio aspetto.
“Binge drinking” – ossia “abbuffata alcolica” - si chiama la prima modalità: consiste appunto nel consumo di una quantità eccessiva di alcol (almeno 6 bevande) in un’unica occasione e in un tempo limitato. Lo scopo è quello di una ubriacatura immediata con conseguente perdita di controllo e di freni inibitori. Una sfida pericolosissima, giacché l’ingestione di alcol in quantità eccessiva e in un tempo limitato amplifica enormemente gli effetti nocivi sulla salute psico-fisica (il come etilico o l’ictus cerebrale). Senza contare i rischi connessi, quali i possibili abusi fisici/sessuali a danno di chi lo stato alcolico abbia reso privo di coscienza.
La seconda modalità è nota invece col nome di “drunkoressia” e in Italia colpisce 300 mila adolescenti, in maggioranza donne. Si tratta, in questo caso, di una “tecnica” associata ad un disturbo alimentare (l’anoressia) e consiste nell’eccesso di consumo di alcolici allo scopo di ridurre l’appetito. L’alcol, infatti, se preso a digiuno non fa ingrassare; le sue calorie, se non sono associate ai nutrienti degli alimenti, producono giusto l’energia sufficiente a sopravvivere.
E’ una pratica che arriva dal mondo della moda: sono state per prime le modelle a scoprire che bere può aiutare a dimagrire, emulate ben presto dalle tante adolescenti schiave del culto della magrezza e dell’immagine.
E se già l’anoressia è di per sé un grave disturbo, che porta talvolta a conseguenze estreme, l’abbinamento con una dipendenza non può che comportare effetti ancora più gravi.
Di fronte a tali fenomeni si torna come sempre ad interrogarsi su quali siano le molle che possono spingere i giovani verso il bisogno di forme di trasgressione – perché è così, in fondo, che vengono intese! - tanto estreme da porsi in una condizione di rischio.
Si tratta di mancanza di consapevolezza? Di incoscienza? Di alterazioni percettive che alimentano il super-io adolescenziale e la sua onnipotenza per cui si è portati a credere che a sé stessi non possa accadere ciò che potenzialmente accade agli altri?
Qualunque sia la ragione è certo che una tale pericolosa deriva deve essere arginata. Ed anzitutto nelle famiglie, che sono i contesti più prossimi vocati a salvagente degli adolescenti e dei giovani, è fondamentale che si creino condizioni di sicurezza e di sostegno reali (non delegati né tanto meno apparenti, come perlopiù accade laddove le attenzioni e la presenza degli adulti di riferimento è talmente blanda che l’eccessivo concedere diventa facile rimedio al senso di colpa) affinché né l’alcol né altre deviazioni finiscano per diventare medicine per problematiche depressive, ansiose, di autostima.
Ancora, alla scuola ed alle istituzioni il compito di smontare falsi miti e di demolire modelli di riferimento errati.
Ciò che necessita, infatti, è di investire su una maggiore cultura dei valori: soprattutto va insegnato alle giovani generazioni che “valore” non è sinonimo di “economicamente rilevante” (come purtroppo la modernità induce a credere) ma di virtù, pregio ormai snaturato e sottovalutato, che può invece ancora segnare le fondamenta per allestire cantieri di costruzione di una società più sana ed autentica.