11 dicembre 2024

Ritratto dell’Italia, un Paese immobile

Nel Rapporto Censis 2024 l’impietosa fotografia della Penisola, un concentrato di ignoranza, contraddizioni, rassegnazioni, paure e inerzia. Andiamo avanti per trascinamento, senza alcuna convinzione e speranza

Autore: Germano Longo
Altro che “Italia s’è desta”, siamo “Intrappolati nella sindrome italiana”, prigionieri di una forma di galleggiamento nella mediocrità più assoluta che regna sulla Penisola, senza picchi verso l’alto e neanche verso il basso. Una resilienza, direbbe qualcuno, o forse uno stato mentale di rassegnazione stagnante, vai a capire.

Ma quella che restituisce il 58° Rapporto Censis è la foto di un Paese immobile, un po’ becero e sempre più ignorante che diserta le urne, salvo poi lamentarsi. Fa spallucce di fronte ai risultati di un anno considerato da record per il turismo e l’occupazione, ma anche di fronte a un allarme sociale come la denatalità. Eppure, malgrado i successi economici, il gap tra il tasso di occupazione italiano e la media UE ci relega all’ultimo posto, con 8,9 punti percentuali in meno rispetto al 2023.

“Anche nella dialettica sociale, la sequela di disincanto, frustrazione, senso di impotenza, risentimento, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole, così caratteristica dei nostri tempi, non è sfociata in violente esplosioni di rabbia. Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti - spiega in modo efficace e preoccupante un passaggio del Rapporto - il tasso di astensione alle ultime elezioni europee ha segnato un record nella storia repubblicana: il 51,7% (alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, l’astensionismo si fermò al 14,3%). Per il 71,4% degli italiani, senza riforme radicali, l’UE è destinata a sfasciarsi, il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più e il 66,3% attribuisce all’Occidente (USA in testa) la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente”.

Insomma, siamo un Paese che viaggia per inerzia, senza più carburante nei serbatoi della crescita verso il benessere, con un reddito pro capite del ceto medio che in vent’anni – tra il 2003 e il 2023 – ha perso in termini reali il 7,0%, mentre è bastato un decennio per smarrire per strada il 5,5% della ricchezza pro capite. Ma il peggio arriva da un altro dato: per l’85% degli italiani, salire sulla scala sociale è e sarà sempre di più un’impresa impossibile. Quindi inutile provarci.

In compenso, nel 2023, imprese e aziende hanno fatto i conti con la mancanza del 45,1% di figure professionali, con il picco tra gli under 29 anni, dove sono merce rara le professioni intellettuali, scientifiche con elevata specializzazione e le professioni tecniche. Nel 38,9% dei casi è diventato impossibile trovare giovani disposti a fare gli artigiani, gli agricoltori o gli operai specializzati, così come infermieri e ostetrici (70,7% della domanda), farmacisti (66,8%) e personale medico (64,0%).
Malgrado il boom mediatico della cucina, poi, ristoratori e albergatori non riescono a trovare cuochi e, più che altro, camerieri. Ma a latitare sono anche idraulici ed elettricisti.

“Il 58,1% dei giovani tra i 18 e i 34 anni si sente fragile, il 56,5% solo, il 51,8% dichiara di soffrire di stati d’ansia o depressione, il 32,7% di attacchi di panico, il 18,3% accusa disturbi del comportamento alimentare, come anoressia e bulimia. Solo in alcuni casi si arriva a una vera patologia conclamata: un giovane su tre (il 29,6%) è stato in cura da uno psicologo e il 16,8% assume sonniferi o psicofarmaci. Ma c’è anche una maggioranza silenziosa fatta di giovani che mettono in gioco strategie individuali per assicurarsi un futuro migliore, in Italia o all’estero. Dal 2013 al 2022 sono espatriati circa 352.000 giovani tra i 25 e i 34 anni (più di un terzo del totale), e di questi, più di 132.000 (il 37,7%) erano laureati”.

In compenso, si fa per dire, il 57,4% degli italiani si sente minacciato da chi vuole portare nel nostro Paese regole e abitudini contrastanti con lo stile di vita italiano, come la separazione di uomini e donne negli spazi pubblici o il velo integrale islamico. Due italiani su dieci (il 21,8%) vedono un nemico in chi professa una religione diversa, il 21,5% chi appartiene a un’etnia straniera, il 14,5% chi ha un colore della pelle differente e l’11,9% in chi ha un orientamento sessuale non canonico.

Un capitolo a parte lo merita l’ignoranza dilagante, che da una parte non vuol essere un’offesa ma un termine che indica quanto la mancanza di conoscenze di base riesca a rendere i cittadini più disorientati e vulnerabili. Ma dall’altra, al contrario, è purtroppo da intendere come l’ignoranza vera e propria della nostra lingua, con le profonde carenze riscontrate nel 24,5% degli alunni delle primarie, nel 39,9% di quelli delle medie e nel 43,5% nelle superiori. Non va meglio neanche con la matematica, che latita nel 31,8% degli allievi delle primarie, nel 44,0% delle medie e nel 47,5% alle superiori. Qualche esempio? Il 49,7% degli studenti italiani non sa quale sia l’anno della Rivoluzione francese, il 30,3% ignora chi fosse Giuseppe Mazzini, per il 32,4% la Cappella Sistina è opera di Giotto, forse di Leonardo o magari di tutti e due, in “featuring”, e per il 6,1% Dante Alighieri non è l’autore della “Divina Commedia”.

Ovvio che, dove regna l’ignoranza, stereotipi e pregiudizi trovano terreno fertile: per il 20,9% degli italiani gli ebrei dominano il mondo attraverso la finanza, il 15,3% è convinto che l’omosessualità sia una malattia, per il 13,1% l’intelligenza è figlia dell’etnia, mentre per il 9,2% la propensione a delinquere ha origine genetica, per chiudere in bellezza con l’8,3% convinto che islam e jihadismo siano sinonimi dello stesso concetto.
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