9 luglio 2024

L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro (precario)

Il segretario della Uil Bombardieri lancia l’allarme: finte partite Iva, stage e tirocini nascondono un sottobosco di precariato che in Italia sta raggiungendo livelli preoccupanti

Autore: Germano Longo
“L’82,8% dei contratti di lavoro attivati nel 2023 erano precari”. Dal palco della terza edizione della “Festa Nazionale della UIL”, in scena a Firenze, il segretario generale Pierpaolo Bombardieri – forse per via del cognome – sgancia il proprio carico esplosivo.

“Il dato è già di per sé preoccupante, seppure riferito a tipologie contrattuali legali che però hanno preso il sopravvento e andrebbero drasticamente ridimensionate e riportate nell’alveo dell’eccezionalità. Senza considerare altre forme anomale di ingresso nel mercato del lavoro, quali i tirocini extracurriculari e molte partite Iva fittizie che celano rapporti di lavoro subordinati. In più c’è il vulnus del lavoro nero e irregolare che riguarda tre milioni di persone”.

Si alimenta in questo modo l’esercito dei lavoratori fantasma, coloro che pur di lavorare accettano di entrare nel girone della precarietà e dell’incertezza, consapevoli di non poter chiedere un mutuo o un finanziamento, così come privati della possibilità di pianificare il proprio futuro, perché di fatto non esistono. Una generazione fatta di giovani, precari e poveri: secondo l’Inps, la retribuzione media dei 3,5 milioni di dipendenti under 30 di aziende private lo scorso anno non superava i 13mila euro, appena poco di più della metà della media nazionale. “Al governo - prosegue Bombardieri - chiediamo di adottare politiche strutturali affinché quei ragazzi siano trasformati da fantasmi in persone”.

Oltre ai numeri messi insieme dal sindacato, arriva il sigillo di Eurostat, che per lo scorso anno relega l’Italia all’ultimo posto per tasso di occupazione generale, aggravato da quello femminile: nel primo caso il nostro Paese ha chiuso il 2023 con il 61,5% contro il 70,4% del resto d’Europa, mentre per le donne si scende al 52,5% che imbarazza rispetto al 65,7% comunitario.

In compenso, secondo i dati delle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro, a svettare (ma in negativo) è il dato sull’occupazione temporanea giovanile: il 34,4% dei contratti chiusi nel 2023 aveva come durata massima un mese, facendo scivolare l’Italia al secondo posto europeo con il 43,2%.

All’opposto della classifica la Lituania, con un 4,2% di contratti a termine. “Un’altra elaborazione Uil, su dati dell’Osservatorio del precariato dell’Inps, conferma che, nel primo trimestre, siamo già al 75,7% di nuovi rapporti di lavoro attivati con tipologie contrattuali temporanee e in presenza di un calo di quelle virtuose, con un meno 5% per i contratti a tempo indeterminato e -11% per quelli di apprendistato”.

Non è un caso, se secondo il rapporto “Giovani 2024: Bilancio di una Generazione”, realizzato dal “Consiglio Nazionale dei Giovani” e l’Agenzia Italiana per la Gioventù”, emergono dati sconfortanti come la fuga di giovani che va avanti da almeno 20 anni, resa incessante non solo dalle difficoltà incontrate per entrare nel mondo del lavoro, ma anche da un paesaggio arido di prospettive e con scarse retribuzioni. Nel solo 2021, 18mila giovani hanno fatto le valigie lasciando l’Italia, con un aumento del 281% rispetto al 2011.

“L’Italia si confronta con una sfida demografica di vasta portata, evidenziata da un calo significativo nella sua popolazione giovane. Negli ultimi due decenni abbiamo assistito a una riduzione di quasi 3,5 milioni di giovani under 35, con un tasso di decremento di circa il 21%. Questo fenomeno ha colpito particolarmente il segmento femminile, con una diminuzione di quasi il 23% contro il quasi 20% maschile. Un confronto che a livello europeo pone l’Italia in una posizione allarmante: siamo gli ultimi per incidenza di giovani, ben sotto la media dell’UE”.

Inevitabile, parlando dell’Italia, non aggiungere l’aggravante della regionalità che come sempre spacca il nostro Paese in due. Soprattutto al Sud, si registrano tassi di disoccupazione giovanile di gran lunga superiori rispetto al Nord, con salari medi decisamente più bassi.
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