26 settembre 2024

L’Istat: pochi i giovani che lavorano, e pagati anche male

Il Rapporto annuale 2024 dell’Istituto di statistica spalanca una finestra sulla realtà lavorativa italiana: solo un quarto dei giovani occupati può contare su stipendi che non siano sotto la media

Autore: Germano Longo
Sono spesso le statistiche dell’Istat a tracciare i contorni all’Italia, un Paese a più velocità, dove quello che funziona da qualche parte non è detto lo faccia anche altrove e viceversa, mentre le disuguaglianze e il precariato valgono ovunque.

Parlando di lavoro, poi, le differenze si fanno macroscopiche, e per riassumere tutto in un solo concetto stringato, secondo il Rapporto annuale 2024 dell’Istituto di statistica i giovani lavorano meno e anche quando riescono a farlo, hanno stipendi decisamente più bassi.

Lo conferma anche un’inchiesta del Consiglio Nazionale dei Giovani, secondo cui in Italia più del 43% degli under 35 guadagna meno di 1.000 euro al mese e il 32,7% di chi è nella fascia tra 15 e 35 anni si accontenta di stipendi compresi 1.000 e i 1.500 euro. Solo un quarto dei giovani ha uno stipendio medio mensile che supera i 2.000 euro.

Nel 2023, svela il Rapporto Istat, a fronte di una retribuzione media annua pari a quasi 26mila euro per i lavoratori (escludendo dal computo i lavoratori domestici e gli operai agricoli), chi ha meno di 30 anni lo scorso anno è riuscito a portare a casa poco più di 14mila euro, all’incirca la metà della media nazionale. Ma non basta ancora, perché continuando a prendere per buona la fascia d’età citata, chi lavora nel pubblico guadagna all’incirca fra 6 e 7mila euro di più dei coetanei occupati nel privato.

L’Inps precisa che in termini assoluti la distanza tra la retribuzione di un giovane under 30 e il valore medio totale raggiunge il picco massimo per un lavoratore a tempo pieno con continuità occupazionale, con un gap di 11mila euro, mentre al contrario è minima per un lavoratore a tempo parziale e discontinuo, con una differenza di 1.800 euro. Mentre in termini relativi, invece, la differenza è massima tra lavoratori full time e minima tra quelli part time, indipendentemente dalla continuità occupazionale.

Numeri, cifre, dati e percentuali che raccontano una situazione allarmante, e al tempo diventano ancora più stridenti di fronte ad un paradosso solo all’apparenza tutto italiano, ma che in realtà tocca anche paesi come Germania e Francia. In pratica da un lato, secondo l’Istat, alla fine dello scorso nel nostro Paese c’erano quasi due milioni di disoccupati, ma dall’altro, per Anpal e Unioncamere, a fronte di 5,5 milioni di richieste di lavoro da aziende e imprese, neanche la metà dei posti vacanti è stato riempito, e per di più dopo un tempo d’attesa quasi mai inferiore ai quattro mesi.

Un “mismatch” per molti versi clamoroso, ma che in realtà spalanca una finestra di un mercato del lavoro cambiato in modo radicale: da una parte aziende che hanno bisogno di personale sempre più qualificato, dall’altro migliaia di giovani che preferiscono aspettare l’occasione giusta, quella che metta d’accordo il percorso di studi, la retribuzione adeguata e le ambizioni professionali, ma anche e soprattutto il diritto al tempo libero. Non è un caso, prosegue il Rapporto, che da queste parti due ‘under 34’ su tre preferiscano vivere con i genitori.

A complicare ulteriormente le cose, secondo il report del Consiglio Nazionale dei Giovani, sono gli annunci di lavoro: “Soltanto il 32% fra quelli censiti riporta le informazioni sulla retribuzione prevista (80 su 250), mentre in oltre i due terzi tali informazioni sono assenti”. È ultimo passaggio, ma non certo per gravità, il gap regionale degli stipendi, con annunci che – quando è indicato – parlano di retribuzioni che al Nord oscillano sui 1.423 euro lordi ma che fra Centro e Sud scendono a circa 1.000.

Fra i tanti problemi da risolvere, quello dei salari potrebbe essere facilmente definito applicando la direttiva europea 970/2023, che prevede l’abolizione del segreto salariale. L’Italia ha tempo per adeguarsi fino al 7 giugno 2026, permettendo a tutti da quel momento in poi non solo di conoscere le retribuzioni dei propri colleghi, ma anche dei criteri con cui vengono stabilite le retribuzioni.
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