L’operazione è assai semplice: si infila la banconota nello sportello automatico, e dopo qualche minuto l’equivalente della somma compare sul proprio portafoglio digitale. Senza che nessuno abbia controllato o verificato nulla, in completo anonimato.
Sia chiaro fin dal principio: non per tutti è così, ci sono società serie che verificano l’identità, e soprattutto acquistare criptovalute non è assolutamente un reato. Ma è l’anacronistica lentezza del nostro Paese a renderlo una delle migliori “lavanderie” del pianeta Terra, grazie al solito “vuoto” normativo.
Secondo il sito “Coin ATM Radar”, al mondo ci sarebbero 15mila “Bitcoin ATM” attivi, di cui 63 in Italia, all’undicesima piazza di una classifica che vede gli Stati Uniti al primo posto, seguiti da Canada e Regno Unito. Danne nostre parti, dice la leggenda, il primo è stato installato a Udine, ma ormai sono diverse le città in cui il fenomeno è in crescita esponenziale: Milano, Venezia, Roma e Torino.
Il fenomeno è una sorta di “bolla” che vola libera in attesa di certezze, anche se in linea del tutto teorica il fenomeno dovrebbe rispondere alle leggi sul denaro contante. Sulla questione, su cui si sono accessi da tempo gli “alert” della Guardia di Finanza, ha alzato la voce anche la Banca d’Italia, ricordando che “prestatori servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e prestatori di servizi di portafoglio digitale devono iscriversi alla speciale sezione del registro ‘cambiavalute’ dell’organismo agenti e mediatori”. La palla è passata al MEF (Ministero Economia e Finanza), chiamato ad approvare un decreto attuativo che renda operativa la norma, definendo modi e tempi per l’iscrizione all’albo.
Un passaggio fondamentale, fermo da almeno due anni, con il risultato finale di una realtà che al momento è ben diversa da quella che circola nei ministeri: i Bancomat Bitcoin compaiono ovunque, senza alcuna autorizzazione e soprattutto privi di qualsiasi livello di controllo. Spazi aperti, sconfinati e incontaminati parti davanti a chi ha la necessità di ripulire denaro sporco, come confermato dall’UIF (Unità di informazione finanziaria), secondo cui fra il 2018 e il 2020 sarebbero state segnalate quasi 2000 operazioni sospette.
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