Mentre il testo della Legge di Bilancio – che secondo il Ministro Giorgetti “dispone interventi con effetti pari, in termini lordi, a circa 30 miliardi nel 2025, più 35 miliardi nel 2026 e oltre 40 miliardi nel 2027” – dopo la firma del Presidente Mattarella si avvia alla discussione alla Camera, emergono altri dettagli che non mancano di alzare il livello delle polemiche.
Una delle più accese riguarda l’ipotesi di aumentare del 2,7% le pensioni minime, più un 1% a titolo di perequazione: in pratica, dai 614,77 euro attuali, dal prossimo anno quasi due milioni di “minime” raggiungerebbero la strabiliante cifra di 620,92 euro.
Anche aiutandosi con le dita nei calcoli, si tratta di 6 euro in più al mese.
Fra i primi a commentare piccati Carlo Rienzi, presidente del Codacons: “Il caro-prezzi ha inciso maggiormente sui cittadini che percepiscono pensioni basse, portando tra il 2022 e il 2023 ad una forte perdita del potere d’acquisto. Per questo un aumento delle pensioni minime del 2,7%, con un incremento di appena 6 euro al mese, rappresenta un’elemosina inadeguata a colmare il peggioramento delle condizioni economiche subite dai pensionati”.
Confermate “Opzione Donna”, “Ape Sociale” e “Quota 103”, per quest’ultima con l’opzione di poter utilizzare i fondi integrativi per compensare i mancati contributi a quanti non raggiungono il minimo compiuti di 67 anni di età. Come già accennato, crescono gli incentivi per chi accetta di restare al lavoro malgrado abbia raggiunto l’età pensionabile, con i contributi a carico del dipendente (9,19%) versati direttamente in busta paga.
Il ministro Giorgetti ha spiegato che con la manovra 2025 il taglio del cuneo fiscale coinvolgerà 1,3 milioni di lavoratori in più rispetto ai 13 milioni già interessati dalla misura: dai redditi fino a 35.000 euro considerati finora, si stima di arrivare a quelli fino a 40.000 euro.
Una delle novità considerate più interessanti è quella che Giorgetti ha definito “Una forma di benefit fiscale fino a 5mila euro per le spese, che il lavoratore o l’azienda sostiene per unità abitative per eventuale trasferimenti, che sono sostanzialmente defiscalizzate”.
Ma c’è un altro tema “caldo” a tenere banco: l’idea di imporre un nuovo tetto agli stipendi dei dirigenti della Pubblica Amministrazione, compresa l’infinita galassia finanziata dallo Stato fatta di fondazioni, associazioni, istituti di ricerca, autorità ed enti. Una netta sforbiciata che dai 240mila euro stabiliti dal governo Monti nel 2011, porterebbe il tetto a 160 mila euro “onnicomprensivi”. Una misura che salverebbe solo le società quotate, fra cui Anas, Cassa depositi e prestiti e la SpA Stretto di Messina, ma poco gradita anche nelle file degli stessi partiti di Governo, convinti che “La pubblica amministrazione non può vedere un ulteriore spostamento di figure apicali verso il privato”.
Fra i diversi commenti alla Manovra, uno dei più aspri è quello comparso sul quotidiano “La Stampa”: “Il lungo tira e molla con le banche e le assicurazioni permetterà alle casse dello Stato di beneficiare di una maggiore liquidità di 3,5 miliardi. C’è una stretta sui compensi dei manager di enti pubblici, fondazioni, società non quotate: non potranno guadagnare più del presidente del Consiglio, circa 80 mila euro netti l’anno. In bilico la promessa di abbassare le tasse al ceto medio: difficile il calo dal 35 al 33% per lo scaglione dei redditi tra 28 e 50 mila euro. La nota del Tesoro non ne parla, così come non cita l’eventuale proroga per un altro anno del bonus sulle ristrutturazioni edilizie al 50% che però è confermato. È completamente sparita dai radar l’estensione della flat tax da 85 mila a 100 mila euro di reddito, la Lega ha smesso di chiederla e si è concentrata solo sull’idea di rivendicare i ‘sacrifici’» ai banchieri”.
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