5 novembre 2022

La rivolta delle farfalle

Autore: Ester Annetta
“Me lo ricordo il giorno in cui ho trovato a forza di andare via, era il 14 giugno. Avevo passato ogni minuto degli ultimi mesi precedenti a desiderare di scappare da lì.”

A parlare è Nina Corradini, che ha raccontato così la fine del suo incubo, quella prigionia fatta di ossessioni, pretese e ricatti psicologici che, per i due anni in cui è stata una “Farfalla” della nazionale azzurra di ginnastica ritmica, l’ha tenuta chiusa in una trappola più che in un bozzolo rassicurante.

È stata quella l’unica volta in cui le ali non le sono servite per volteggiare e conquistare un podio o una medaglia, ma per ribellarsi e volare via, guadagnare la libertà, riscattare la sua dignità.

Sul suo esempio, poco dopo, altre due ginnaste – Anna Basta e Giulia Galtarossa - hanno denunciato gli stessi abusi: pressioni psicologiche, umiliazioni e insulti cui sarebbero state sottoposte per dimagrire, per non ingrassare nemmeno un etto soprattutto in vista delle gare.

Nina, Anna e Giulia: oggi sono tutte ex campionesse ed ex atlete; ma se la prima condizione potrebbe far pensare al corso naturale d’una carriera sportiva, la seconda poggia invece le sue motivazioni su una scelta che non è dipesa dal proprio libero arbitrio ma dall’arbitrio altrui.

Le loro confessioni hanno squarciato il velo, e l’Accademia di Desio - quel mondo fatto di soprusi, maltrattamenti, imposizioni, scommesse vinte contro la fragilità altrui e l’ossessione di dover dimostrare di valere - si è rivelato in tutta la sua malvagia costrizione.

La disciplina ha ceduto il passo ad un rigore estremo, divenuto infine incurante della salvaguardia del benessere e della salute mentale delle ginnaste.

Giulia – che oggi ha 31 anni – ha raccontato di come a 15 si svegliasse ogni mattina con la consapevolezza che l’avrebbero pesata: “L'aspetto peggiore erano i commenti che seguivano il controllo. Se venivi presa di mira, non ti lasciavano tregua. Sono arrivate a pesarmi anche 4 volte al giorno: era diventato un problema anche bere mezzo litro d'acqua dopo ore di allenamento. (…) Una volta mi hanno dato una dieta e alla fine c'era scritto un messaggio per me: 'Abbiamo un maialino in squadra". Nel 2012 aveva perso la sua occasione di partecipare alle Olimpiadi perché aveva 2-3 chili in più. Ed è arrivata a pesarne 90 quando ha abbandonato la sua disciplina: quella sportiva, certo, ma anche quella impostale dalle sue allenatrici.

Anna ha raccontato di aver di aver avuto attacchi di panico, problemi alimentari e anche pensieri suicidi, ma pure di aver denunciato tutto ‘ai piani alti’ – prima di decidere di abbandonare l’Accademia – senza che nessuno facesse alcunché.

Inevitabilmente mi corre il parallelo con la vicenda di Simone Biles, la ginnasta statunitense, pluricampionessa di ginnastica artistica, che alle Olimpiadi di Tokyo della scorsa estate si ritirò alla vigilia delle finali a squadre e individuale “per concentrarsi sulla sua salute mentale”. Mi domando se anche in quel caso le ragioni del disagio psicologico dell’atleta siano state le stesse delle nostre ginnaste; certo è che sul passato di Simone grava pure il peso dell’abuso sessuale subito dall’'ex medico della squadra nazionale, Larry Nassar, poi accusato anche da altre sue colleghe.

Sorge allora legittimo il dubbio che, a fronte dell’ampia risonanza ottenuta dalle rivelazioni di ginnaste rese famose dai loro successi sportivi, vi siano centinaia d’altre storie destinate a rimanere sconosciute perché tali sono anche le loro protagoniste.

Altrettanto, sorge la consapevolezza che nel variegato universo delle competizioni sportive gli abusi psicologici non siano di meno né meno gravi di quelli fisici e che, perlopiù, restano impuniti i responsabili di condotte non solo lesive della dignità e della serenità altrui, ma addirittura talmente invasive da poter persino indurre a gesti estremi.

Mutuando allora le parole del neo-designato Ministro dello Sport, Andrea Abodi, "Le medaglie sono un fattore di orgoglio nazionale, ma non ci sarà mai una medaglia che coprirà comportamenti non adeguati." ed è dunque corretto che si faccia luce sui fatti dell’Accademia di Desio, sulle persone coinvolte e sulle loro responsabilità, affinché nessun’altra atleta, dimenticando d’essere prima di tutto un essere umano, abbia rovinata la vita e debba pentirsi delle proprie scelte, dichiarando, come Giulia: "Se mi chiedono di riconsegnare le medaglie vinte nella ritmica per riavere la felicità non avrei dubbi: direi di sì".

Compito dello sport è anche quello di formare il carattere, non di distruggerlo.

Dovrebbero tenerlo a mente i tanti allenatori che pretendono di innalzare podi sulle macerie delle personalità che hanno demolito.

E devono essere fiere di sé stesse le atlete che rinunciano alla medaglia della vittoria sportiva per indossare quella del coraggio.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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