“Condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all'altezza delle aspettative”. È la definizione ufficiale di “SLC” (Stress Lavoro Correlato), una poco piacevole condizione che, secondo le conclusioni del primo “Global Talent Barometer” realizzato da ManpowerGroup, colpirebbe sempre più italiani.
La ricerca, realizzata su un campione di 12mila persone di 16 Paesi diversi, da un lato sfata l’idea di “paradisi” lavorativi che nella realtà non esistono, ma dall’altro porta alla luce del sole la difficile condizione lavorativa di molti italiani. Dall’analisi di tre parametri (Benessere, Soddisfazione Lavorativa, Fiducia), nel nostro Paese il 63% dei lavoratori di entrambi i sessi (percentuale che sfiora la media globale del 67%), non ha problemi a dichiarare una percezione positiva del proprio posto di lavoro, con l’aggiunta della sensazione di essere allineati ai valori e le visioni aziendali e l’idea che l’azienda riservi un’alta attenzione verso l’equilibrio della “work-life balance”. Ma questo a fronte di un altro 53% che avverte sovraccarichi di stress così insostenibili da spingere il 36% di questi ultimi a voler cambiare di lavoro nel giro di pochi mesi.
Ma c’è un rovescio della medaglia rappresentato dal 57% degli italiani intervistati, certo di poter trovare supporto nei vertici aziendali nello sviluppo della carriera: un valore relativamente basso che spinge tutti gli altri verso la ricerca di nuove opportunità, con la coda finale di un italiano su quattro (27%) che non si sente sicuro del proprio posto di lavoro e teme di essere costretto a lasciarlo nell’arco di sei mesi.
Scendendo nel dettaglio generazionale, la percezione dell’SLC diventa proporzionalmente più alta con il calare dell’età: per essere ancora più chiari, il 57% la Gen Z svetta come la generazione più esaurita, affaticata e per il 49% fermamente decisa a cambiare lavoro. Diversa la situazione dei Millennial, che per il 60% intravedono nella resistenza allo stress più alte possibilità di carriera.
Fondamentale è anche l’analisi dei settori dove il grado di insofferenza si fa più alto: dal 61% di quanti lavorano nel settore dei beni di consumo e servizi, al 59% di sanità e life sciences, per scendere in modo deciso al 38% nei trasporti, logistica e automotive. Settore quest’ultimo che registra anche la percentuale più bassa di lavoratori intenzionati a cambiare (15%), al contrario del 50% di quanti invece lavorano nel comparto dei servizi.
Per finire con le differenze territoriali, dove curiosamente le disuguaglianze percentuali sono minime: dal 30% di chi vorrebbe cambiare lavoro fra Sud e Isole al 29% registrato al Centro, per finire con il 24 e 22% dei lavoratori che risiedono nel Nordovest e Nordest. Al contrario, è al Centro che si alza la percezione di poter migliorare le proprie competenze (77%) e la carriera (61%), mentre il dato cala nel produttivo Nordest (63% competenze e 46% carriera).
Una serie di fattori e parametri che nulla tolgono alla personale fiducia nelle proprie capacità, con l’85% degli intervistati convinto di avere preparazione ed esperienza più che sufficiente per ricoprire la propria posizione e un 74% convinto di poter contare su tecnologie e strumenti per portare a termine di propri compiti. Un dato che cambia nella percezione della progressione della carriera, con il 68% convinto di avere all’interno dell’azienda l’opportunità di migliorare le proprie skills, ma con solo un 53% persuaso di riuscire ad ottenere una promozione.
“Il rapporto tra persone e aziende si sta evolvendo rapidamente. Per trattenere le migliori collaboratrici e collaboratori, in una situazione di crescente talent shortage e mismatch di competenze, il solo stipendio non è più sufficiente. Le persone si aspettano che il lavoro offra loro qualcosa di più: maggiore equilibrio, più opportunità, più empatia - commenta Anna Gionfriddo, ad di ManpowerGroup Italia - sebbene il 75% delle persone in Italia trovi uno scopo nel proprio lavoro, i dati del Global Talent Barometer dimostrano che questo da solo non è sufficiente a trattenere i talenti. Le persone sono alla ricerca di ambienti di lavoro che offrano servizi su più fronti, dal supporto per la salute mentale e l'equilibrio tra vita privata e lavoro allo sviluppo della carriera e alla formazione delle competenze. Le organizzazioni che riescono a creare questi ambienti a misura d'uomo non solo tratterranno i migliori talenti, ma guideranno anche l'innovazione nel mercato odierno”.
Nel resto del mondo svetta la situazione del Messico, dove l’89% dei lavoratori trovano alti livelli di soddisfazione nel proprio lavoro, mentre a Singapore la situazione si fa più fluida: il 41% è insoddisfatto e convinto di voler cambiare lavoro nel giro di sei mesi. I Paesi nordici dimostrano una forte sicurezza con l’80% dei lavoratori sicuri della propria posizione, certezza che al contrario crolla in Francia (61%), dove il dato dimostra problemi nell’equilibrio tra vita privata e lavoro e nella soddisfazione professionale. Per finire con la situazione degli Stati Uniti, con un indice di fiducia generale del 79% ed il 73% dei lavoratori che si dicono certi di poter mantenere il proprio lavoro.