14 luglio 2021

Le verità della fuga di Ghosn, l’ex sovrano dell’auto

Per la prima volta, l’ex capo del colosso Nissan-Renault accetta di raccontare i dettagli della sua fuga rocambolesca, assicurando di essere al lavoro per ripulire il proprio buon nome

Autore: Redazione Fiscal Focus
Alle 22:30 di una fredda notte di dicembre del 2019, l’ormai ex sovrano dell’industria automobilistica mondiale se ne stava rannicchiato all’interno di un “case” musicale a bordo di un jet privato. Era l’atto finale del piano per fuggire dal Giappone, poco prima di sentire il suono delle manette e della porta di una cella. “L’aereo doveva decollare alle 23 - ricorda Carlos Ghosn - e quelli sono stati i 30 minuti più lunghi della mia vita”.

Ora, per la prima volta, l’uomo che un tempo era il capo dell’impero Nissan-Renault, capace di esagerazioni come festeggiare il 60esimo compleanno alla Reggia di Versailles, ha raccontato i dettagli di una fuga degna di un film di Hollywood nel corso di un’intervista rilasciata alla BBC. Finora aveva preferito concentrare le rare interviste sui motivi della fuga, più che sulle squisitezze tecniche: “Non sono fuggito dalla giustizia ma dall’ingiustizia: le accuse mosse contro di me sono false e non avrei mai dovuto essere arrestato”, aveva detto dal Libano nel gennaio dello scorso anno, poche ore dopo essere uscito dalla valigia in cui si era rannicchiato.

Celebrato in Giappone come il re mida dell’industria automobilistica, il processo di beatificazione di Carlos Ghosn si era interrotto bruscamente nel novembre del 2018, quando Renault, Nissan e Mitsubishi l’hanno messo alla porta dopo l’arresto per sospetta cattiva condotta finanziaria. Nei termini della sua cauzione, pari a 1,5 miliardi e mezzo di yen (13,8 milioni di dollari), anche l’obbligo di rimanere in Giappone prima del processo. Ma considerato soggetto a rischio di fuga, all’ex manager erano stati sequestrati i tre passaporti e disposta una stretta sorveglianza che comprendeva anche restrizioni nell’uso di telefoni e computer.

Il racconto di Ghosn inizia dal momento del suo arresto all’aeroporto di Toyko tre anni fa: “È stato come essere investiti da un autobus. L’unico ricordo che ho di quel momento è lo shock provato”. Portato al centro di detenzione di Tokyo, viene confinato in una cella: “All’improvviso ho dovuto imparare a vivere senza orologio, computer, telefono, senza poter sentire le notizie, senza una penna”. Per più di un anno, Ghosn alterna lunghi periodi di detenzione agli arresti domiciliari concessi su cauzione. La data del processo non era chiara, e il timore quello di dover attendere anni prima di vedersi infliggere una pena assai probabile, in un paese che ha un tasso di condanne pari al 99,4%.

È stato durante uno dei periodi ai domiciliari, quando gli è stato comunicato che non sarebbe stato permesso di avere alcun contatto con sua moglie Carole, che Ghosn ha deciso di trovare una via d’uscita. “Il piano era che non potevo mostrarmi in pubblico, quindi dovevo essere nascosto da qualche parte. E l’unico modo era accettare di farmi rinchiudere in un grosso bagaglio. L’idea di utilizzare un “case”, un solido contenitore usato per trasportare strumenti musicali e attrezzature di scena “era la più logica, soprattutto perché in quel periodo in Giappone c’erano molti concerti e nessuno ci avrebbe fatto caso”.

Per mesi, i media giapponesi si sono chiesti come fosse stato possibile per un personaggio così noto, uscire dalla propria abitazione e raggiungere indisturbato un aeroporto. Le regole del piano, ricorda Ghosn, erano di comportarsi il più normalmente possibile. Ho dovuto comprare vestiti che non avrei mai comprato ed entrare in locali in cui non mi sarei mai fermato in vita mia”.

Da Tokyo, Ghosn ha viaggiato su un treno ad alta velocità fino ad Osaka, dove un jet privato era in attesa all’aeroporto locale. “Quando ti chiudono in una valigia non pensi al passato e non pensi al futuro, pensi solo a quello che stai vivendo. Non hai paura, non hai nessuna emozione tranne un’enorme concentrazione, perché ti hanno ripetuto centinaia di volte che forse avrai una sola occasione, forse”.
A toglierlo dal guai ci aveva pensato una piccola squadra di esperti in blitz sotto copertura pagata profumatamente: Michael Taylor, ex militare delle forze speciali americane, suo figlio Peter e un terzo uomo, George-Antoine Zayek.

Secondo il fascicolo d’inchiesta, Peter Taylor si è incontrato con Ghosn almeno sette volte nei mesi precedenti all’evasione, mentre era in libertà provvisoria su cauzione. Alla fine di dicembre, Peter Taylor è volato a Tokyo e ha incontrato Ghosn all’hotel “Grand Hyatt”. Nel frattempo, Michael Taylor e Zayek sono atterrati a Osaka con un jet privato proveniente da Dubai. I due uomini avevano “due grandi valigie nere, di quelle utilizzate per gli strumenti musicali o le attrezzature audio”. Alla dogana dell’aeroporto di Kansai dichiarano di essere musicisti.

Più tardi, nel pomeriggio del 29 dicembre, il gruppo al completo si incontra al Grand Hyatt Tokyo. Al termine dell’incontro, Peter Taylor prende un taxi per l’aeroporto Narita da cui si imbarca su un volo per la Cina. Gli altri tre, incluso Ghosn, salgono invece su un treno veloce diretto a Osaka. Al loro arrivo, alle 20:14, Ghosn, Michael Taylor e Zayek entrano nella stanza di un hotel. Più di un’ora dopo, alle 21:57, Taylor e Zayez escono dalla stessa stanza con i loro bagagli, comprese le due grandi casse nere, e si dirigono verso l’aeroporto. “Non c’è alcuna immagine di Ghosn che lascia la stanza: era nascosto in una delle due grandi casse nere trasportate da Michael Taylor e Zayek”. Il bagaglio è passato attraverso un controllo di sicurezza dell’aeroporto senza essere verificato per poi essere caricato su un jet privato partito poco per la Turchia. Due giorni dopo, il 31 dicembre, Ghosn ha annunciato pubblicamente di essere fuggito dal Giappone e di trovarsi in Libano, il suo paese natale.

Michael Taylor non è nuovo a questo genere di operazioni: in passato, fra quelle che si conoscono ufficialmente, ha pianificato blitz per mettere in salvo persone in difficoltà in punti caldi del mondo. Il New York Times l’aveva assoldato per liberare il reporter David Rohde, catturato in Afghanistan dai Talebani nel 2008. Più di dieci anni prima, nel 1999, Taylor aveva lavorato per una famiglia della Carolina del Nord che rivoleva la figlia, rimasta bloccata in Siria con i suoi tre bambini dopo essere fuggita dal marito violento. Per finire, ha svolto delle accurate “valutazioni di vulnerabilità” su decine di importanti aeroporti internazionali per conto dell’American International Security Corporation.

Taylor e suo figlio Peter sono stati consegnati dagli Stati Uniti al Giappone, dove sono stati condannati a tre anni di prigione per cospirazione. Anche Greg Kelly, ex collega di Ghosn alla Nissan, si trova attualmente agli arresti domiciliari a Tokyo con l’accusa di aver aiutato il suo ex capo a occultare guadagni illeciti.

La storia di Ghosn ha dentro tutto: arroganza, superbia, sfacciataggine e politiche aziendali aggressive, condite alla fine da una fuga che non sfigurerebbe neanche in un film di 007. Lui insiste, convinto di essere un uomo che se ha peccato non l’ha fatto mai per il proprio interesse, e assicura di essere al lavoro con i suoi avvocati per ripulire il suo nome dal fango di questi anni. Ma fino ad allora, resta un pesce un tempo abituato all’oceano costretto in una boccia trasparente. Non è il finale che si aspettava da una storia come la sua.
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