Salvo aggiornamenti dell’ultima ora, la fortuna per antonomasia è cieca, ma in compenso le tasse ci vedono benissimo. Questo per dire che, se già al netto del destino per riuscire a vincere del denaro legalmente, attraverso concorsi e lotterie, serve una considerevole botta dei cuscinetti naturali, significa anche che lo Stato è l’unico giocatore che pur non rischiando nulla, vince comunque. Come un socio seduto in un angolo appartato, pronto a pretendere la propria parte.
Si chiama comunemente “tassa sulla fortuna”, riguarda giochi di abilità, lotterie nazionali, tombole, pesche o banchi di beneficenza, premi del Lotto, concorsi e pronostici, ma anche i premi assegnati per meriti artistici, scientifici o sociali, e vive di regole che nel tempo sono cambiate lasciando aperto un dubbio: il denaro vinto va dichiarato al Fisco? Chiamandosi vincite, quindi per loro stessa natura improvvise e casuali, la risposta istintiva – e senza neanche chiedere l’aiutino da casa - sarebbe no.
Ed in effetti è così: chi vince almeno non deve preoccuparsi di versare o dichiarare nulla, perché la somma arriverà già defalcata con la parte che spetta allo Stato.
Come ricorda l’Agenzia delle Entrate, le vincite dei giochi gestiti dall’Amministrazione delle Dogane e Monopoli o ancora dalle società convenzionate come Sisal e Lottomatica, sono sempre tassate, ma l’aliquota cambia in base alla somma vinta. E per tutti i giochi, di qualsiasi tipo, la soglia massina che si può intascare al netto sono 500 euro.
Da lì in poi scattano le percentuali, che per tombole e lotterie si assesta sul 6%, seguiti dall’8 del “Lotto” e dal 20% dei “Gratta e Vinci”, ma anche dei premi assegnati durante spettacoli radio-televisivi, competizioni sportive o manifestazioni. Per finire con il “SuperEnalotto”, che applica il 20% e il “10eLotto”, tassato all’11%. Per andare sul pratico, vincendo 1000 euro al Gratta e Vinci ne restano 900 buoni, che salgono a 960 nel Lotto.
Discorso diverso per i casinò online, considerando ovviamente solo le realtà titolari di licenza: mentre nel recente passato era in vigore una sorta di “flat tax” del 12%, ora fatti salvi i soliti 500 euro puliti, la tassazione cresce dal 15% per le vincite fino a 1.000 euro per arrivare al 25% che si vede risucchiare chi vince 10milioni di euro.
Se invece la vincita arriva da piattaforme prive di permessi, non essendo prevista alcuna tassazione alla fonte, è necessario inserire le somme vinte nella dichiarazione dei redditi, più precisamente alla voce “redditi diversi”. Ma è giusto sapere che questo equivale a presentarsi in caserma per autodenunciarsi: giocare su piattaforme non legali porta a noie di tutt’altra natura con la giustizia, valutabili in multe da 516 euro e fino a tre mesi di reclusione.
Impossibile non citare i casinò fisici, quelli che in Italia sono presenti soltanto a Saint-Vincent, Sanremo, Venezia e Campione d’Italia, per cui la regola non cambia: a patto che la struttura sia autorizzata dall’AAMS, neanche le vincite ai tavoli di roulette, slot machine, poker e blackjack vanno dichiarate, perché dovendo rispettare i limiti del contante, scatta in fretta l’obbligo della struttura di bonificare la somma direttamente sul c/c del giocatore, o utilizzare forme di pagamento digitali tracciabili che non sicuramente sfuggono all’occhio attento (e famelico) del Fisco.
Ultimo caso possibile: quello di aver acquistato un tagliando della lotteria o dell’equivalente di un gratta e vinci in un Paese extra UE, che esenta dall’obbligo di dichiarare le somme vinte.
Resta un ultimo, possibile fastidio: versare sul proprio conto somme ingenti, è forse uno dei modi migliori per accendere i radar del Fisco, che in genere ama vederci chiaro attraverso accertamenti in cui secondo una sentenza della Cassazione si è obbligati a fornire precise “prove analitiche”. Per cui, la regola ferrea è di conservare le ricevute delle vincite di qualsiasi tipo di gioco, fisico oppure online. Oppure accontentarsi di vincere al massimo 500 euro.