19 giugno 2021

Mariti spioni

Autore: Ester Annetta
Con una recente sentenza – la n. 23035/2021, depositata lo scorso 10 giugno - la Cassazione penale è intervenuta in materia di reati di violazione della corrispondenza e accesso abusivo a un sistema informatico, ribadendo in maniera sostanziale quanto già in precedenza affermato in sue precedenti pronunce.

La vicenda trattata è quella di un ex marito nei cui confronti la Corte d’Appello di Lecce, riformando la pronuncia di primo grado, aveva riqualificato il fatto attribuitogli ai sensi dell’art. 81 comma 2 e artt. 615 ter e 616 c.p. - ossia concorso formale dei reati di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico e violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza - rideterminando conseguentemente la pena in tre mesi di reclusione e confermando altresì la condanna dell’imputato al risarcimento del danno nei confronti della parte civile.

All’uomo, in fatti, era stato contestato di essersi introdotto abusivamente - con diverse azioni esecutive d’un medesimo disegno criminoso - nella casella di posta elettronica della ex moglie, di averne letto la corrispondenza intercorsa via email e di essersi registrato abusivamente al sito della sua compagnia telefonica al fine di apprenderne i dati relativi al traffico telefonico dell’utenza dalla medesima utilizzata.

Avverso la detta sentenza l’imputato ha dunque proposto ricorso in Cassazione sollevando una serie di motivi (tra cui: il mancato rilievo nel dispositivo della intervenuta prescrizione del reato; il respingimento dell’eccezione di nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio effettuata al difensore anziché all'imputato, nei cui confronti la notifica era stata comunque originariamente tentata; la non punibilità per particolare tenuità del fatto, trascurata dalla Corte di Appello, che si è viceversa concentrata su altri aspetti del tutto secondari; il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; la determinazione da parte della predetta Corte di una somma eccessiva dovuta a titolo di risarcimento), tra cui due centrali:
  • l’assenza di motivazione in ordine agli elementi costitutivi di cui all’art. 616 c.p., con particolare riguardo alla presa cognizione da parte di esso imputato del contenuto della corrispondenza chiusa nonché la non sussistenza del concorso formale dei reati di cui all'art. 615 ter e 616 c.p.;
  • la considerazione che la pacifica conoscenza da parte dell’imputato delle chiavi di accesso al sistema che si è ritenuto violato, esclude che, nei suoi confronti, la persona offesa avesse voluto disporre una protezione mediante misure di sicurezza.

Riconosciuta la fondatezza del motivo dell’intervenuta prescrizione del reato, la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza agli effetti penali, con ciò assorbendo anche l’altro motivo relativo alla non punibilità per particolare tenuità del fatto, in quanto l’estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p. Difatti essa, estinguendo il reato, rappresenta un esito più favorevole all’imputato, mentre la seconda lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialità storica e giuridica.

Per il resto, la Corte ha ritenuto infondato il motivo relativo al vizio di notifica sostenendo trattarsi di un’ipotesi di “nullità generale di tipo intermedio, assoggettata al regime di deducibilità e sanatorie previsto dagli artt. 182 sgg c.p.p.”

Ma è con riguardo agli altri motivi che si evidenziano le motivazioni più interessanti: secondo la Cassazione è inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificità quello lamentato circa l’omessa motivazione in ordine agli elementi costitutivi di cui all’art. 616 c.p. in quanto "nel caso di accesso abusivo ad una casella di posta elettronica protetta da "password" è configurabile il delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico che concorre con quello di violazione di corrispondenza, in relazione all'acquisizione del contenuto delle "email" custodite nell'archivio. Inoltre, integra il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza (art. 616 c.p) la condotta di colui che prende cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra la ex convivente e un terzo soggetto, conservata nell'archivio di posta elettronica della prima."

Parimenti la Corte, richiamando alcune proprie precedenti pronunce (sentenza n. 565 del 29/11/2018 e n. 41210 del 18/5/2017) ha dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza l’altro motivo centrale, poiché, “premesso che la conoscenza delle chiavi d’accesso, diversamente da quanto ritiene il ricorrente, conferma e non smentisce l’esistenza di sistemi di protezione”, integra il delitto previsto dall'art. 615 ter c.p. la condotta di colui che colui che “pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l’accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso gli è attribuita”. La Corte ha pertanto anche escluso che avesse rilievo il fatto che l'imputato fosse il vero intestatario della SIM e che per questo conoscesse le chiavi del sistema. La tutela della riservatezza prescinde da qualsiasi ragionamento che abbia a che fare con la proprietà.

Dichiarato infine inammissibile anche il motivo relativo alla doglianza sull’ammontare del risarcimento del danno non patrimoniale liquidato (1.500,00 euro) da corrispondere alla persona offesa in quanto formulato in maniera eccessivamente generica.

Annullata dunque la sentenza impugnata agli effetti penali, rigettato il ricorso agli effetti civili.
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