Quando, verso la fine del novembre scorso, scienziati sudafricani hanno annunciato la scoperta di B.11.529 – la nuova variante del coronavirus poi ribattezzata “Omicron” dall’OMS – hanno anche precisato che si trattava d’un virus “pesantemente mutato”, scatenando, così, un’ondata di panico globale.
Quale ne sia stata l’origine – cioè se la nuova variante si sia sviluppata in una popolazione isolata, in una persona immunocompromessa (una delle numerosissime vittime dell’HIV, che in Africa è ancora tra le prime cause di mortalità) o in animali – e se Omicron sia più trasmissibile rispetto alle precedenti varianti del virus, o se causi rispetto ad esse malattie più gravi, o se renda i vaccini meno efficaci sono ipotesi ancora tutte da vagliare e confermare.
Ciò che invece è certo e di chiara evidenza è che, proprio grazie a questa nuova variante, è stata scoperchiata una realtà che in fondo era già nota: l’estrema disuguaglianza vaccinale esistente tra la popolazione africana (e, più i generale, dei paesi a basso reddito) e quella del resto del mondo.
Secondo la piattaforma Our World in Data dell'Università di Oxford, al 30 novembre scorso le vaccinazioni somministrate globalmente sono state circa otto miliardi, ma, nei paesi a basso reddito, appena il sei per cento delle persone ha ricevuto la prima dose.
Ancor più nel dettaglio, secondo gli African Centers for Disease Control and Prevention, nei paesi africani sono stati somministrati più di 235 milioni di vaccini, a fronte di una popolazione complessiva di oltre 1,2 miliardi di persone.
Il dato colpisce ancora di più se si pensa che la conseguenza immediatamente innescata dall’ondata di panico scatenata dall’annuncio della variante “sudafricana” (tanto è inutile negarlo, la connotazione spregiativa che si associa all’etichetta di provenienza è quella che si continua ad utilizzare, al di là delle apparenze!) è stata quella di ergere l’ennesimo muro. L’Europa si è arroccata nella sua fortezza, chiudendo le frontiere al Sudafrica (col paradosso di farla sembrare quasi una punizione per la sua efficienza nell’aver scoperto la nuova variante) e ad altri sei paesi dell’Africa australe - Lesotho, Botswana, Zimbabwe, Mozambico, Namibia, Eswatini.
Fuori tutti i potenziali untori! Benché, peraltro, il virus fosse già comunque penetrato oltre le mura della fortezza.
Mi domando: arriverà il momento in cui la coscienza politica collettiva – e quella dei vertici, soprattutto – comprenderà che non ci si salva da soli?
Quand’è che sarà chiaro che a fronte delle mutazioni virali da combattere ce n’è una – di equità – che va invece incoraggiata?
Già prima di Omicron, le varianti che avevano causato preoccupazione (la Alpha e la Delta) erano emerse da focolai non controllati sviluppatisi in popolazioni non vaccinate, dove il virus, con ogni evidenza, prospera meglio e ha maggiore possibilità di mutare. Con altrettanta evidenza è chiaro, quindi, che solo il vaccino può tenere a bada i focolai e scongiurare, di conseguenza, altre mutazioni.
Omicron, allora, più che come la minaccia proveniente dal continente africano, va interpretata come l’espressione di una “ingiustizia vaccinale prolungata”, che è – essa si! – la condizione che consente al virus di circolare, mutare e diventare più pericoloso e che è ciò che va, dunque, per prima debellata.
Non è tollerabile che, mentre in Europa è già iniziata la corsa alla terza dose (più che mai accelerata in questo periodo, come se il pericolo maggiore da eludere fosse quello di prevenire chiusure nel periodo natalizio) ci siano ancora Paesi in cui nemmeno la prima è stata ancora somministrata!
E l’isolamento cui si è pensato di confinare l’Africa non offre affatto la soluzione al diffondersi del contagio; questo ennesimo muro eretto tra chi è figlio del benessere e chi di un Dio minore non consente per nulla un’efficace protezione, anzi, ribadisce la lezione che il Covid dovrebbe averci ormai insegnato: occorre una soluzione globale contro una minaccia globale. O ci si salva tutti o, prima o poi, si perirà tutti.
Una singola azione può determinare imprevedibilmente il futuro: è uno dei principi della teoria del caos, quell’”effetto farfalla” teorizzato da Edward Lorenz nella nota metafora secondo cui il batter d'ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas.
In Africa c’è adesso una farfalla che sta battendo le sue ali.
Condividere la proprietà intellettuale dei vaccini, favorire il trasferimento di tecnologia per aumentarne la produzione, renderne infine disponibile una maggior quantità oltre qualunque muro sono le sole azioni attraverso cui si può prevenire la possibilità che da quel lieve battito si scateni un uragano, anche a migliaia di chilometri di distanza.