Un’indagine nazionale dal titolo “Adolescenza tra speranze e timori”, realizzata nel primo semestre di quest’anno da Laboratorio Adolescenza e Istituto di ricerca IARD (enti impegnati nello studio e nella ricerca sulla condizione e le politiche giovanili) su un campione rappresentativo di 5.600 studenti d’età compresa tra 13 e 19 anni, ha restituito un quadro allarmante: “preoccupati e disillusi riguardo al futuro e consapevoli che il Covid ha in parte compromesso irreversibilmente la loro formazione scolastica. Molto meno propensi, rispetto al recente passato, a intraprendere gli studi universitari. Mangioni e sedentari, insoddisfatti del proprio aspetto fisico e in balia di una estetica dettata da influencer e fashion blogger. Sempre più ‘connessi’ e con un lento ma costante peggioramento dei rapporti in famiglia e con il gruppo dei pari.”
Sempre secondo la ricerca, anche lo scoppio della guerra in Ucraina ha avuto un rilevante impatto, avendo evidenziato che una percentuale elevatissima di adolescenti (tra l’80-90%) avverte preoccupazione per le possibili conseguenze dirette e indirette del conflitto, ed il 75% teme perfino lo scoppio di una terza guerra mondiale o il coinvolgimento diretto dell’Italia nel conflitto in essere.
Il passaggio – avvenuto quasi senza soluzione di continuità - dalla Dad alla guerra ha contribuito a rendere gli adolescenti “già psicologicamente provati dalla pandemia, ancora più fragili e timorosi” secondo il Presidente di Laboratorio Adolescenza.
E senz’altro questo effetto destabilizzante è stato amplificato dall’esasperato volume mediatico con cui tanto il Covid che il tema della guerra sono stati trattati. In quest’ultimo caso, anzi, un’ulteriore conseguenza dell’eccesso mediatico è stato quello di aver sovvertito, nell’immaginario adolescenziale, modelli acquisiti di educazione civile, pacifista e costituzionale.
A tali condizioni viene principalmente ricondotta l’accresciuta incidenza tra i giovani di comportamenti problema e devianze: dai disturbi alimentari ai fenomeni di bullismo fino ad arrivare alla vera e propria delinquenza giovanile.
Pur ammettendo che sussiste davvero un fondo di verità nel “nesso eziologico” così identificato, non è tuttavia prudente che gli squilibri causati dalla pandemia - cui si aggiungono ora quelli provocati dalla guerra – diventino l’alibi per giustificare situazioni e atteggiamenti che in realtà hanno anche testimonianze pregresse.
Cionondimeno, più che delle ragioni di tanto dissesto conviene discutere dei rimedi da mettere in campo, ed è un intento che richiede lucidità di vedute e coscienza libera.
Ma è evidentemente ciò che difetta se, tra i rimedi educativi e di recupero efficaci, qualcuno è arrivato a proporre il ripristino della leva obbligatoria, indicandola quale strumento adatto “per raddrizzare la schiena a tante ragazze e tanti ragazzi” e per correggerne quelle presunte fragilità cui conseguono le devianze.
Quanto sia anacronistica e pericolosa una tale proposta siamo tutti in grado di comprenderlo, ritengo. Ci rendiamo conto di ciò che sottintende? di come velatamente sostenga l’idoneità di un “regime” che pretenderebbe di affidare una funzione pedagogica all’addestramento “punitivo” (quello che, per intenderci, legittima la violenza, anche culturale) esaltando disciplina, rigore, gerarchia, persino umiliazione, considerandole come strumenti per indirizzare la crescita degli individui verso l’obbedienza e la sottomissione?
Se poi il mordente della proposta è che sia assolutamente utile un “periodo in cui si insegna il rispetto delle regole”, allora bisognerebbe anche ammettere la necessità di un’azione molto più diffusa, in cui la “funzione correttiva” non sia esclusivamente legata ad un dato generazionale ed anagrafico. Dovrebbe perciò estendersi a tanti altri ambiti ove parimenti urge un riaddestramento al rispetto: quello inteso in senso più in generale e non solo delle regole.
Ci si accorgerebbe, così, che la lezione basica del “riordinare le camere”, riguarda anche chi occupa quelle con l’iniziale maiuscola.
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