“Inflazione significa essere povero con tanti soldi in tasca”, così il grande Ugo Tognazzi spiegava il termine che indica l’aumento generalizzato dei prezzi di beni e servizi. Le cause dell’inflazione, l’abbiamo imparato tutti, possono essere le più svariate: dalle difficoltà di produzione e approvvigionamento all’aumento dei costi delle materie prime, passando per crisi, guerre e instabilità geopolitiche. Ma all’atto pratico, da qualsiasi cosa dipenda, l’inflazione significa perdere una parte del cosiddetto “potere di acquisto”, pagando di più ciò che si acquista così come sborsare di più per le rate di prestiti e mutui.
Dopo tre anni assai difficili, con il picco dell’8,7% raggiunto nel 2022, nella zona Euro l’inflazione sta battendo in ritirata: secondo il “Survey of Professional Forecast”, un recentissimo sondaggio fra gli economisti realizzato dalla BCE, si prevede nei prossimi due anni una discesa al di sotto dell’obiettivo del 2% fissato dalla stessa Banca Centrale Europea. Ma il dubbio più grande è se realmente diminuirà quanto basta per innescare un allentamento della politica monetaria. Finora, la Federal Reserve ha mantenuto i tassi per nove mesi a causa di un’inflazione più forte del previsto, che esclude la volatilità dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari.
Il FMI evidenzia tuttavia il potenziale rischio di un’escalation del conflitto in Medio Oriente, che potrebbe portare a shock dei prezzi dell’energia e a costi di spedizione più elevati, vanificando tutte le migliori intenzioni. Una serie di sviluppi che potrebbero influenzare in modo negativo gli scenari inflazionistici e spingere le banche centrali ad adottare politiche monetarie più restrittive.
Nel complesso, entro il 2026 si prevede che l’inflazione globale scenderà al 3,7%, ancora notevolmente al di sopra dell’obiettivo del 2% fissato da diverse grandi economie. Ma mentre le nazioni più ricche vedranno l’inflazione avvicinarsi all’obiettivo del 2% entro il 2026, le economie emergenti dovranno fare i conti con tassi di inflazione che potranno raggiungere il picco del 4,9%, assai simile alle medie pre-pandemia.
Parlando al presente, quest’anno l’inflazione potrebbe attestarsi su una media pari al 2,4%, in linea con le previsioni di tre mesi fa, per poi rallentare al 2,0% dall’inizio del prossimo anno, come previsto in precedenza, ma in entrambi i casi al di sotto delle previsioni della BCE. Per finire, entro il 2026 l’inflazione potrebbe scendere sotto la soglia psicologica del 2% (1,9%, per essere precisi), ma guardando ad un orizzonte temporale che arriva al 2028, finirà per attestarsi al 2%.
Lo scorso mese di giugno, in Italia l’inflazione ha registrato un aumento dello 0,1% su base mensile e 0,8% su quella annua, un dato tutto sommato stabile rispetto ai mesi precedenti, risultato di andamenti contrastanti tra i diversi settori di spesa: il +0,3% dei beni alimentari non lavorati rispetto al 2,2% di maggio, o ancora il 4,0% (invece del 4,3%) dei servizi ricreativi e della cura della persona.
In termini pratici, commenta Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, “Per una coppia con due figli, l’inflazione dello 0,8% comporta un aumento del costo della vita di circa 119 euro all’anno. Di questi, ben 113 sono dovuti all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e delle bevande analcoliche. Per una coppia con un figlio, l’aumento è di circa 89 euro all’anno, di cui 102 destinati esclusivamente alle spese alimentari”. L’UNC ha anche stilato una classifica delle città italiane più care, con Siena che svetta per il maggiore rincaro annuo stimato per una famiglia media, seguita da Pisa e Benevento. Tra le città meno care Biella, Campobasso e Caserta, mentre su base regionale, Veneto, Toscana e Friuli Venezia Giulia sono le più costose, Molise, Valle d’Aosta e Abruzzo le più economiche.