Avete presente quell’etichetta a colori che si trova apposta sugli imballi degli elettrodomestici o anche sulle scatole delle lampadine e che serve ad indicarne l’efficienza energetica? Contempla sette sfumature di colore (che vanno dal verde scuro al rosso scuro) che, insieme ad alcune lettere dell’alfabeto (dalla A semplice o accompagnata da uno, due o tre segni +, alla G) segnalano il consumo energetico dell’apparecchio (nello specifico i consumi annuali in kW), favorendone quindi il confronto con altri al fine di agevolare l’acquirente nella scelta di quello che garantisce un maggior risparmio di energia.
Tale sistema d’etichettatura risponde a precise disposizioni normative che gli Stati Europei hanno adottato a seguito del recepimento della relativa Direttiva UE varata nel 1992.
Ora immaginate che lo stesso sistema di etichettatura “a semaforo” – come suole definirsi – venga apposto sui cibi e su ogni altro prodotto (olio, condimenti, bevande, ecc.) alimentare, per indicarne i valori nutrizionali e, più specificamente, quanto – in una scala che va dal “rosso pericolo” al “verde via libera” - possano considerarsi salutari.
Il risultato sarebbe che, condizionati di primo impatto dalla predominanza del colore e dalla corrispondente lettera che segnala la “qualità” del prodotto – perché, in finale, quei simboli in tali termini verrebbero sommariamente interpretati! – i consumatori sarebbero indirizzati a scegliere quelli contrassegnati dalle sfumature tendenti al verde, indipendentemente da una più attenta e chiara valutazione della debita proporzione in cui andrebbe considerata anche la quantità del prodotto.
È questa, in estrema sintesi, la questione di fondo che continua ad alimentare la discordia e il dibattito internazionale circa l’adozione del c.d. Nutri-score, il sistema di etichettatura nutrizionale apposto sul fronte delle confezioni di alimenti e sulle bevande che la Francia ha sviluppato e adottato nell'ottobre 2017 e che, successivamente, è stato impiegato anche da Belgio, Spagna (nel 2018), Germania, Svizzera, Paesi Bassi (nel 2019) e Lussemburgo (nel 2020), con il dichiarato intento, peraltro, di istituire un meccanismo di coordinamento transnazionale per facilitarne l'uso, con l’ausilio di un comitato direttivo e di un comitato scientifico.
Il calcolo del valore nutrizionale utilizzato dal Nutri-score è determinato tenendo conto di fattori negativi (calorie, zuccheri, grassi saturi, sodio) e caratteristiche positive (contenuto di frutta e frutta secca, verdure, fibre e proteine) per 100 grammi di prodotto. Il punteggio finale ottenuto consente di assegnare all’alimento specifico una combinazione di colore e lettera (es.: l’olio d’oliva viene classificato nella categoria giallo - C – quella di mezzo - risultando essere il migliore tra gli oli vegetali - di soia, girasole e mais -, classificati nella categoria D, e anche rispetto all’olio di cocco e di palma e al burro, che sono nella categoria E).
In Italia, l’aspetto che maggiormente viene criticato al sistema del Nutri-score da parte sia di alcuni rappresentanti politici che dell’imprenditoria agroalimentare è proprio quello di ritenere estremamente sintetica e fuorviante la classificazione esclusivamente cromatico/alfabetica dell’etichettatura, poiché, essendo formulata su una quantità standard di 100 grammi invece che su quella effettiva della confezione, finirebbe per condizionare erroneamente i comportamenti d’acquisto, sia in senso negativo (dissuadendo dall’acquisto e dal consumo di un prodotto con bollino rosso) sia in senso positivo (favorendo l’acquisto e l’uso eccessivo di un prodotto a bollino verde).
Le conseguenze più immediate di questo “equivoco” andrebbero a danno sia delle abitudini alimentari dei consumatori (che, sulla base delle sole indicazioni dell’etichetta, potrebbe essere indirizzato in modo semplicistico ed errato nei suoi acquisti) sia delle aziende, che potrebbero ritrovarsi a perdere fatturato sulla base di un indirizzo sbagliato (che potrebbe quindi spingere determinati prodotti a discapito di altri o giungere persino a penalizzare eccellenze quali i prodotti DOP/IGP).
A tal proposito proprio l’Italia nel 2020 ha presentato in sede europea una proposta alternativa (già accolta positivamente da Romania, Repubblica Ceca, Cipro, Grecia e Ungheria): la Nutrinform Battery, che consiste nella raffigurazione di una batteria azzurra, ripetuta cinque volte, una per ognuno dei valori nutrizionali riportati (calorie, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale). La “carica” della pila (ossia la quantità di energia o nutrienti contenuti nell’alimento), è espressa in percentuale in relazione alle assunzioni di riferimento europee e relativamente alla singola porzione. Gli stessi valori sono inoltre riportati in grammi per ciascuno dei cinque box.
Anche questa soluzione non è tuttavia immune da critiche; l’associazione di consumatori Altroconsumo ne ha evidenziato alcune: l’etichettatura “a batteria” sarebbe troppo ricca per dare una panoramica d’insieme immediata, senza indicatori cromatici chiari; troppo ambigua l’icona della pila che, all’opposto di quanto si è abituati a pensare, in questo contesto più è carica e peggio è; troppo variabile il calcolo sulle singole porzioni di prodotto per consentire un paragone efficace, se non a seguito di un rapporto proporzionale che difficilmente l’acquirente si troverà a fare nel supermercato.
Negli ultimi giorni, peraltro, un “assist” (com’è stato definito da “il Sole24ore”) alla posizione dell’Italia contraria all’adozione del Nutri-score è stato offerto dall’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, che, nel confermare che c’è un collegamento tra gli zuccheri e una serie di problemi di salute, tra cui obesità, diabete e carie, e che il loro consumo debba essere limitato il più possibile, ammette che non è tuttavia possibile fissare un livello massimo di assunzione tollerabile, sotto il quale non si hanno effetti avversi per la salute, di fatto dando così ragione alla tesi “nostrana” secondo cui non esistono singoli prodotti che fanno male o fanno bene, ma che è la quantità di un determinato prodotto, abbinata allo stile di vita, a fare la differenza.
Al di là d’ogni dissidio o polemica, un dato è comunque certo e prescinde da ogni etichettatura o contrassegno: conoscere i cibi ed avere una corretta educazione alimentare sono le condizioni indispensabili a ridurre obesità e problemi di salute, che, tra l’altro, hanno ripercussioni anche a livello sociale (occupazionale, in primis).
Ma, evidentemente, si tratta di considerazioni secondarie ove la priorità risulti comunque essere quella di salvaguardare le esigenze economiche delle imprese e – più ancora – d’un Paese, che sull’export delle proprie eccellenze fonda gran parte dei suoi profitti.