I paradisi fiscali sono più vicini a noi di quanto ci immaginiamo. Se poter aggirare agevolmente il Fisco sembra una prassi di mondi lontani, con legislazioni nazionali blande o inesistenti, in realtà anche a due passi dall’Italia esistono territori in cui l’evasione fiscale è semplice e tutto sommato ammessa, o quantomeno tollerata.
L’Unione europea ha creato nel 2017 una vera e propria black list che contiene l’elenco di tutti quei Paesi che non hanno rispettato gli impegni per la governance fiscale o che proprio si sono rifiutati di assumerli. Questa lista viene sempre aggiornata due volte l’anno, a febbraio e a ottobre.
I nuovi paradisi fiscali 2025
Nell’ultimo aggiornamento, sono comparsi ben
11 nuovi Paesi:
- Samoa Americane;
- Anguilla;
- Bahamas;
- Figi;
- Guam;
- Palau;
- Panama;
- Russia;
- Samoa;
- Trinidad e Tobago;
- Isole Vergini (USA).
Le
caratteristiche dei paradisi fiscali sono state identificate dall’OCSE già nel 1998:
- sostanziale mancanza di imposte sui redditi delle imprese costituite in quei territori;
- assenza dell’obbligo per le società costituite di svolgere un’affettiva attività d’impresa in quegli stessi territori;
- poca trasparenza del sistema legislativo e amministrativo, che consente a determinati soggetti di beneficiare di privilegi in termini di ridotta tassazione dei redditi;
- assenza di meccanismi di scambio delle informazioni fiscali tra quei Paesi e gli altri Stati, finalizzato a garantire la potestà impositiva di questi ultimi e a combattere i fenomeni di evasione ed elusione fiscale internazionale.
La lista grigia aggiornata al 2025
Esiste poi anche una
lista grigia che comprende i Paesi che si sono impegnati a fare riforme per adeguarsi agli standard Ue ma che ancora non li rispettano pienamente. Ecco le new entry di febbraio 2025:
- Antigua e Barbuda;
- Belize;
- Isole Vergini Britanniche;
- Brunei Darussalam;
- Eswatini;
- Seychelles;
- Turchia;
- Vietnam.
Con questi Stati l’
Ue e i suoi membri non sono certo morbidi: infatti possono applicare – recita la legge –
“misure di difesa efficaci e proporzionate, tanto nel settore fiscale quanto in quello non fiscale, nei confronti delle giurisdizioni non cooperative, fino a quando queste figurino nella lista”.
Perché non c’è neanche un Paese europeo
Noterete però che in questi elenchi non compare nessun Paese europeo. Il motivo è semplice: nella black list dell’Europa i Paesi Ue proprio non ci entrano, perché fa riferimento solo ed esclusivamente a Stati extra-europei.
Una mancanza (voluta) particolarmente grave, che ovviamente non certifica che sul territorio Ue tutti siano in regola, anzi. In pratica, i criteri applicati ai Paesi extra-Ue non valgono per gli Stati membri, motivo per cui organizzazioni internazionali come Oxfam bollano la lista come inefficace e chiedono da tempo regole più severe.
Il Parlamento di Strasburgo ha provato a intervenire a più riprese su questa “anomalia”, ma senza successo. La Commissione da anni descrive i regimi fiscali di questi Paesi come “aggressivi”, ma nulla cambia nonostante si continui a parlare di veri e propri “buchi neri fiscali”, che arrivano non solo a sottrarre ingenti risorse, ma anche a causare danni gravissimi, soprattutto sul piano della concorrenza e della trasparenza.
Quali sono e quanto ci costano i paradisi fiscali in Europa
Per dare un numero, si stima una
perdita di gettito compresa tra i 50 e i 70 miliardi di euro:
50 miliardi circa vengono evasi dalle persone fisiche che portano la
residenza all’estero, 65 miliardi invece è quanto “si perde” con l’
Iva transfrontaliera.
Ma quali sono i
Paesi europei catalogati come “buchi neri” pur non potendo essere inseriti nella lista nera? Eccoli:
- Cipro;
- Irlanda;
- Lussemburgo;
- Malta;
- Paesi Bassi;
- Ungheria.
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