Secondo l’ottavo rapporto Censis- Eudiamon sul welfare aziendale, presentato venerdì 21 febbraio, il 31,8 % dei lavoratori si è sentito travolto dal lavoro provando sensazioni di sopraffazione, sentimenti negativi e burn-out. Tale stato psicologico, che coinvolge il 47,7% dei giovani, il 28,2% degli adulti e il 23,0% dei lavoratori dipendenti, rappresenta ormai una tendenza che non accenna a diminuire.
Le sofferenze sperimentate dai dipendenti sono disparate e riguardano vari aspetti della vita lavorativa, basti pensare che il 73% ha vissuto situazioni d’ansia a lavoro; il 76,8% non è sempre riuscito a trovare un equilibrio tra vita privata e lavoro; il 75,9 % si sente sopraffatto dalle responsabilità quotidiane, mentre il 73,9% sente troppa ansia addosso durante l’attività lavorativa.
Tali dati non vanno in alcun modo sottovalutati, in quanto la risposta prolungata del nostro corpo a stressors interpersonali cronici sul luogo di lavoro si concretizza in esaurimento con conseguente incapacità di recuperare le energie. La sensazione è quella di alienazione che si caratterizza in atteggiamenti cinici verso i colleghi o verso i destinatari della propria attività lavorativa.
L’odierno contesto socio economico è intriso di precarietà e i rapporti interpersonali da un punto di vista prettamente psichico risentono moltissimo di tale aspetto, l’osmosi di ansie e disagi tra lavoro e vita privata riduce drasticamente il benessere soggettivo, la qualità della vita e la salute mentale.
La mancanza di work-life balance si riflette su alcune percentuali. Il 25,7% dei dipendenti porta a lavoro i problemi di casa abbassando di molto la qualità del lavoro contro il 36,1 % che porta i problemi lavorativi a casa con affetti a cascata su relazioni familiari e amicali.
La sempre più forte pressione lavorativa sfocia nella crescente richiesta da parte dei lavoratori di un supporto psicologico, che secondo la docente di psicologia del lavoro dell’università di Siena Roberta Maeran, è dovuta alla velocità costante dei mutamenti in atto, e all’impossibilità di riuscire ad andare dietro a tali cambiamenti senza sentirsi in qualche modo inadeguati.
A questo punto occorre pensare se una presa di coscienza generale è possibile anche dal punto di vista datoriale, considerando che un organico soddisfatto e equilibrato, a parità di ore di lavoro ha una resa in termini performance maggiore.
Pensare a strumenti di welfare aziendale che includano tra i principali obiettivi la salute mentale con una maggiore attenzione all’equilibrio tra vita privata e vita professionale è la chiave di volta per aziende massimamente produttive e con un ambiente lavorativo sereno.
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