13 luglio 2021

Rapporto annuale Inps: bilancio sulla stagione pandemica

Nella giornata di ieri, 12 luglio, l’Inps (Istituto nazionale della previdenza sociale) ha esposto in Parlamento il suo rapporto annuale. A tal proposito è stato realizzato un primo bilancio sull’anno pandemico, caratterizzato da misure straordinarie, tra cui maxi-interventi in sostegno al reddito.

Dal documento si evince che il blocco dei licenziamenti, attuato dal Governo Conte II, ha evitato la perdita di circa 330.000 posti di lavoro, di cui oltre la metà nelle piccole imprese.
Nel dettaglio, per quanto concerne gli interventi diretti dell’istituto per sostenere il reddito dei cittadini italiani, ammontano a 44,5 miliardi di euro, coinvolgendo, in totale, 15,1 milioni di beneficiari. La spesa più consistente è relativa alla cassaintegrazione, pari a 18,7 miliardi nel 2020, rispetto agli 1,4 miliardi del 2019, un aumento superiore al 1.000%. Complessivamente, risultano essere 6,7 i milioni di lavoratori che hanno usufruito di tale misura.

La pandemia ha avuto delle conseguenze significative sul mercato del lavoro, in particolare sul numero di ore lavorate piuttosto che sul numero dei dipendenti. Si registra, infatti, nel periodo che intercorre tra il quarto trimestre 2019 e il primo trimestre 2021, una diminuzione degli occupati del 2,8% e un calo del 7,1% per quanto riguarda le unità di lavoro e del 7,7% in relazione alle ore lavorate.

Per l’occasione, il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha espresso la propria opinione in merito ai percettori del reddito di cittadinanza, criticati, spesso, di rifiutare le offerte di lavoro per continuare a percepire l’assegno statale. A tal proposito, Tridico evidenzia che dall’analisi emerge che i 2/3 dei 3,7 milioni di beneficiari non sono presenti negli archivi Inps degli estratto conto contributivi del 2018 e 2019, per cui risultano distanti dal mercato del lavoro e non occupabili nel più breve tempo possibile. Il restante terzo, invece, risulta presente ma possiede, in media, un reddito equivalente al 12% delle retribuzioni annue prevalenti tra i lavoratori del settore privato in Italia, inoltre, solo il 20% ha lavorato per un periodo di tempo superiore a tre mesi prima dell’introduzione del sussidio. In conclusione, dunque, si evince un’esclusione sociale per coloro che percepiscono tale misura.
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