Dall’ultimo aggiornamento dell’Inps pubblicato a fine agosto e che considera gli ultimi sette mesi del 2021, si evince che circa un milione e mezzo di famiglie, tre milioni e mezzo di persone, percepiscono il reddito di cittadinanza, con un importo medio per nucleo di 579 euro. La misura è stata adottata a partire da aprile 2019, nel primo anno sono stati erogati 3,825 miliardi di euro e nell’anno successivo circa 7 miliardi, mentre la spesa dell’anno corrente, deve essere ancora quantificata ma secondo le previsioni, la spesa del triennio dovrebbe essere pari a 18,3 miliardi.
Sin dall’inizio la misura di sostegno non è stata ben vista da Fdl, Lega e Italia Viva, in quanto non incentiva la ricerca di un lavoro, tuttavia il presidente dell’Istat, Giancarlo Blangiardo, evidenzia che in alcuni contesti, la misura può essere definita un successo. Da uno studio della Banca d’Italia, infatti, emerge che lo strumento sostegno ha ridotto il numero di poveri assoluti e ha attutito le condizioni di bisogno. Ciononostante, dall’ultimo rapporto annuale della Caritas, emerge che oltre la metà dei poveri non usufruisce della misura di sostegno che viene, invece, percepita da famiglie che non versano, effettivamente, in una condizione di povertà.
In virtù di tali dati, la misura dovrebbe essere rivista, nonostante il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, abbia ribadito che lo strumento ha funzionato come contrasto alla povertà, opponendosi alle critiche ricevute ultimamente, come quella di Giorgia Meloni secondo la quale il reddito è un “metadone di Stato”.
Ai fini della revisione della misura, nel mese di marzo 2021, è stato istituito il Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza, secondo il quale le maggiori criticità sono inerenti ai criteri di accesso. In effetti, la scala di equivalenza penalizza le famiglie numerose con i figli minori, e al contempo, per gli stranieri il requisito di dieci anni di residenza è alto, rispetto alle medie degli atri Paesi europei. Le maggiori contestazioni, riguardano, anche, il fallimento della misura sotto il profilo delle politiche attive del lavoro, tant’è che anche nel rapporto sull’Italia, pubblicato dall’Ocse, si riscontra che sono pochi i beneficiari, che in seguito, hanno trovato un posto di lavoro.
Cristiano Gori, componente del Comitato e responsabile scientifico dell’Alleanza contro la povertà, definisce la misura un disincentivo al lavoro e propone di differenziare i salari del reddito, che potrebbero essere troppo alti o troppo bassi, tra le varie regioni, considerando che il costo della vita al Nord Italia è maggiore rispetto a quello del Mezzogiorno.
Infine, secondo la sociologa Saraceno, il problema di occupabilità dei beneficiari è correlato alla loro bassa qualificazione, per cui bisognerebbe potenziare la formazione. Inoltre, rivedendo la misura si potrebbe intervenire anche su alcune modalità errate, come quella di incentivo ai consumi, definita dalla sociologa come una follia. Tale modalità dispone, infatti, che i percettori debbano spendere tutto entro fine mese, altrimenti, si rischia di incorrere in una decurtazione nei periodi successivi.