Ad affrontare la questione in maniera specifica era stata la Legge di bilancio dello Stato 2021 per l’anno finanziario 2022: il comma 687 dell’art. 1 della LEGGE 30 dicembre 2021, n. 234 aveva difatti previsto, a decorrere dal 2022, l’aggiornamento dei LEA - i Livelli essenziali di assistenza – con l’intento di includervi nuove prestazioni e/o servizi. A tal fine, aveva disposto, tra l’altro, di riportare i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA) in una specifica area, estrapolandoli dunque da quella della salute mentale in cui si trovano ricompresi, ridefinendoli come autonoma patologia. L’obiettivo era quello di rendere in tal modo possibili provvedimenti certi e definitivi e, quindi, stabili stanziamenti di fondi, in maniera uniforme, su tutto il territorio nazionale.
Il successivo comma 688 aveva previsto inoltre che, nelle more dell'aggiornamento dei LEA, al fine di garantire il contrasto dei DNA, venisse istituito presso il Ministero della salute il Fondo per il contrasto dei disturbi della nutrizione e dell'alimentazione, con dotazione di 15 milioni di euro per l’anno 2022 e di 10 milioni di euro per l'anno 2023.
Un Fondo straordinario, dunque, che sarebbe servito a tamponare la mancanza di interventi più strutturati in attesa del decreto attuativo di revisione dei LEA.
Ma, a distanza di due anni, la revisione non è intervenuta e il Fondo è spirato; e giacché di quest’ultimo, nella nuova manovra finanziaria, non è stato indicato alcun rifinanziamento, il risultato è che, ove nulla dovesse a riguardo cambiare entro il prossimo ottobre (quando, cioè, cesserà materialmente la copertura economica derivante dal Fondo stesso), circa 800 operatori attualmente impiegati presso le ASL in equipe multidisciplinari che hanno in cura pazienti affetti da disturbi alimentari verrebbero licenziati.
A farne le spese, però, sarebbero in primis proprio i pazienti, un esercito massiccio (tre milioni e duecentomila, tra anoressici e bulimici, cui devono aggiungersi chissà quanti altri casi non dichiarati) di ragazzi e ragazze, soprattutto (e di età sempre più giovane), tra cui ogni anno vengono mietute decine di vittime.
I disturbi alimentari sono un male subdolo, un’epidemia in crescita che, dal Covid in poi, ha registrato aumenti esponenziali. Ed è logico: si tratta infatti di disturbi che hanno una matrice di natura psicologia, le cui ragioni affondano in disagi familiari o relazionali che non vengono riconosciuti o affrontati adeguatamente. Finiscono così per innescare meccanismi di rifiuto del sé, del proprio corpo e del raffronto con gli altri che, se non intercettati tempestivamente, assumono caratteri di irreversibilità.
Di disturbi alimentari si muore – e, con maggior incidenza - da almeno trent’anni. Ultimamente con maggior frequenza, complici anche i condizionamenti che arrivano dai social, con l’imposizione di modelli di perfezione fisica pressoché irraggiungibili, dai quali gli individui dalle personalità più fragili tendono ad essere sopraffatti, incapaci di accettarsi così come sono.
A fronte ad una tale crescita del fenomeno, il Fondo istituito dal governo Draghi, le strutture e gli interventi destinati alla cura del disturbo, benché non fossero comunque bastevoli, offrivano tuttavia un significativo contributo al suo controllo.
Con la mancata proroga degli stanziamenti, il rischio immediato è quello di un totale collasso, con conseguenze facilmente intuibili: chi potrà permettersi cure private avrà qualche speranza di salvezza in più rispetto a chi dovrà attendere i tempi biblici di una presa in carico presso strutture pubbliche, che spesso potrà arrivare quando sarà ormai troppo tardi.
Del resto, si sa da tempo che curarsi adeguatamente è diventata una questione di “classe”. Altrettanto evidente è che la spesa per la Sanità è la prima ad essere immolata – a dispetto di promesse e dichiarazioni d’intenti formulate sull’onda dell’emergenza del momento - di fronte a presunte priorità che paiono di discutibile utilità pubblica e che invece ne legittimano il sacrificio.
Dovrebbe invece essere chiaro, ora che questo frangente specifico offrirebbe una nuova occasione di intervento, che disturbi silenziosi e spietati come quelli alimentari, destinati a crescere anche come fenomeno generazionale, richiedono un’attenzione che non può essere discontinua e casuale e, dunque, la consapevolezza che si tratta di mali non curabili soltanto – ed è proprio il caso di dirlo - con le briciole.