Ad oggi, mentre scrivo, sono già quasi 44mila (e non tarderanno a raggiungere l’obiettivo riaggiornato dei 50mila) i sottoscrittori della petizione lanciata su change.org con cui si chiede al Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, di abolire le prove scritte dell’esame di stato 2022.
Parrebbe un successo, se a contare fossero solo i numeri; viceversa il paradosso è che, alla crescita dei sostenitori della petizione corrisponde, in pari misura, quella della disastrosa sconfitta che – se l’istanza fosse accolta e divenisse la regola – patirebbero la nostra lingua, la nostra cultura, le competenze lessicali e grammaticali che ogni studente dovrebbe invece raggiungere.
A sconcertare è già, in primis, la proposta stessa, che, per sostenersi, fa leva sul disagio provocato agli studenti dalla DAD: l’alibi più ricorrente (diciamocelo pure!) con cui oggi si tende spesso a scagionare ciò che, più verosimilmente, sono invece il disinteresse e la mancanza di impegno con cui buona parte della popolazione studentesca approccia il proprio dovere didattico.
Se poi si presta attenzione alla maniera in cui il testo della petizione è scritto, lo sconcerto si trasforma in sconforto. Nella sua formulazione originaria, nell’incipit, un participio presente spodestava impunemente un gerundio “Noi studenti maturanti” (si, con la T!) seguito poco dopo dall’articolo indeterminativo maschile apostrofato di “un’esame”.
Gli “orrori” grammaticali devono essere stati evidentemente segnalati, visto che, poco dopo il testo è stato corretto (si fa per dire) nella sua attuale forma.
Peccato che, stavolta, la “d” richiesta dal gerundio abbia preteso di sostituirsi anche alla “t” di “studenti”, col risultato che oggi sono, appunto, gli “studendi maturandi” a farsi promotori della petizione.
Ma non basta, perché anche la punteggiatura, l’assenza di soggetti che rendano comprensibile la coniugazione di certi verbi e la povertà espressiva generale dominano ancora incontrastati su un testo di a malapena dieci righe che per due terzi almeno meriterebbe un consistente intervento di matita rosso-blu.
“Noi studendi maturandi chiediamo l’eliminazione delle prove scritte agli esami di maturità 2022, poiché troviamo ingiusto e infruttuoso andare a sostenere degli esami scritti in quanto pleonastici, i professori curricolari nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare le nostre capacità. Inoltre abbiamo passato terzo e quarto anno in DAD, penalizzandoci, distruggendo parte delle nostre basi che ci sarebbero dovute servire per gli esami. L’ulteriore stress di esami scritti remerebbe contro un fruttuoso orale indispensabile come primo passo verso l’età adulta. Sicuri di un suo positivo riscontro le porgiamo i più cordiali saluti.”
Abbiate pietà, vi prego.
È un delitto pretendere di privare un esame d’una sua parte fondamentale, in vista della quale si richiede un impegno che sarebbe un errore considerare finalizzato unicamente a quella prova. Scrivere è un esercizio necessario, è lo strumento che presiede all’indispensabile compito di riuscire a padroneggiare il lessico e a rispettare la correttezza grammaticale ed ortografica; è il timone attraverso cui si governa la capacità stessa di comunicare.
È vero, saper scrivere spesso è un talento che si possiede per natura; ma è altrettanto vero che coltivare l’uso della scrittura l’agevola in ogni sua forma e contenuto. Provate a confrontarlo un testo scritto da un adulto che conti più di mezzo secolo di primavere con quello scritto da un trent’enne d’oggi: quanto si è impoverito il vocabolario? Quanti sono i tempi verbali caduti in disuso? Quanto è trista (“trista”, si, variante aulica di “triste”, come impiegata nel linguaggio poetico del sommo vate) la deriva del linguaggio, immolato alla fretta ed alla velocità d’una società in cui si sono perse costanza, dedizione e valori?
Io mi ricordo ancora il tema che, ai tempi del liceo, almeno una volta a settimana bisognava svolgere a casa, trattando di storia, di letteratura, di attualità; i riassunti, le glosse appuntate a margine dei testi poetici – spesso imparati a memoria – e la loro parafrasi scritta.
Oggi vedo ragazzi (adolescenti, intendo) che, pur essendo capaci di riordinare, nella teoria, la sequenza delle parti che compongono un “testo argomentativo”, di fatto non sono poi in grado di redigerne uno che sappia rispettarla e che abbia la giusta compiutezza e correttezza. Faticano persino a tenere la penna in mano, impugnandola in maniere talmente bizzarre da andare contro ogni criterio di coordinazione motoria. La scrittura sotto dettatura si trasforma in un coro continuo di “può ripetere per favore?” “che significa questa parola?” “con quante “g” si scrive….”, e anche nella comunicazione spicciola, quella che si scambiano per messaggistica via telefono, replicano lo stesso linguaggio che utilizzano nel parlato, con tanto di espressioni dialettali, parole tronche e strane coniugazioni verbali.
Guardiamocene bene, allora, dall’assecondare una richiesta che addita l’esame scritto come condizione di stress che “rema contro” (mi permetto di inorridire di fronte a tale espressione) “un fruttuoso orale indispensabile come primo passo verso l’età adulta”: è invece proprio quello scritto – e tutta la preparazione che richiede – il vero esercizio e il vero stress necessari a far diventare adulti.