Se ne parla e lo si prevede da decenni, ma questo non ha impedito di ritrovare i fiumi italiani deserti, con un allarme siccità sempre più pressante e il Mediterraneo con acque troppo calde. L’emergenza acqua è certamente causata da un cambiamento climatico che ha portato a temperature decisamente troppo alte, cui però si sono aggiunte e sommate altre concause, tutte antropiche, come abusi e cattivi utilizzi di infrastrutture, mancata manutenzione della rete idrica e inquinamento. E pur con i nostri 7596 corsi d’acqua, che si diramano per tutta la penisola, dal Piemonte alla Sicilia si parla di emergenza. Al caldo opprimente si aggiungono infatti gli inquinanti, come farmaci, cosmetici, fertilizzanti o antiparassitari dall’agricoltura, la stessa che a livello globale preleva ben il 75% delle acque fluviali e sotterranee insieme a industrie e usi domestici.
Mancata manutenzione e sprechi - Una crisi climatica e un surriscaldamento globale tutti da ricercare nella nostra presenza sulla Terra, certo, ma che non sono bastate a condurci a quest’emergenza. A pesare su una situazione complessivamente già piuttosto compromessa, in Italia ha giocato un ruolo centralissimo una mancata manutenzione della rete idrica. Ciclicamente, ogni anno, si parla in tutte le regioni del problema della dispersione dell’acqua nel sottosuolo attraverso le tubature, soprattutto nei periodi più caldi e aridi che incidono anche sui bilanci economici. Le istituzioni non hanno però fatto granché: un rischio contenibile, insomma, considerando che già dallo scorso febbraio i fiumi nostrani erano in secca.
Siamo dotati, qui in Italia, di 526 dighe, oltre ad altri 20 mila piccoli invasi, riuscendo però ad immagazzinare appena poco più del 10% dell’acqua piovana. Dunque si finisce per sprecare acqua potabile anche quando non servirebbe.
Le conseguenze - Una grave carenza, in alcuni casi, come quello del Po, che arriva addirittura all’80% e che sta impattando sulla produzione agricola, ittica e dell’energia elettrica. Uno scenario complesso in tutto il Paese, insomma, che ha portato alla necessità di razionalizzare l’uso dell’acqua per destinarlo, in ordine, alle priorità riconosciute dalla legge: uso civile, per gli animali, per l’agricoltura, infine per l’industria.
Il settore nettamente più in crisi per questa siccità è l’agricoltura, con sistemi di irrigazione che rischiano il collasso, presupponendo danni per milioni di euro a una delle filiere più redditizie nel panorama italiano. Senza citare i timori per gli abitanti delle zone più colpite, come la Lombardia. Allarme anche per il settore energetico, come dimostra la chiusura della centrale idroelettrica Enel di Isola Serafini di San Lazzaro. Un problema che si sovrappone a quello già invadente portato dalla guerra, che porterà a costi di produzione, anche alimentare, sempre più elevati.
Un tema, insomma, a lungo ignorato, ma portato di forza, dalle sue stesse conseguenze, al centro del dibattito politico con un Dpcm ad hoc in elaborazione al Governo, per affrontare le carenze dell’approvvigionamento idrico e la salvaguardia, in particolare, del comparto agricolo.