Sulle pagine del portale “Viaggiare Sicuri”- il servizio messo a punto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (disponibile anche sull’ App “Unità di Crisi” scaricabile su tutti i dispositivi IOs e Android) per fornire indicazioni sempre aggiornate riguardo alla sicurezza e alla sanità dei Paesi verso cui si intendesse viaggiare - alla voce “Nigeria”, si legge quanto segue:
“In considerazione dell’attuale precaria situazione di sicurezza in Nigeria si raccomanda di limitare allo stretto necessario i viaggi nel Paese e si sconsigliano assolutamente i viaggi nel nord-est (Stati del Borno, Yobe e Adamawa), dove opera il gruppo terroristico Boko Haram e nello Stato di Zamfara, interessato da banditismo diffuso, nonché' nei distretti (LGA) degli Stati adiacenti allo Zamfara che con essi confinano.” E ancora: “Tenuto conto del forte peggioramento della situazione di sicurezza nel Sud-Est del Paese, sono fortemente sconsigliati tutti gli spostamenti negli Stati di Imo, Anambra ed Abia.”
Seguono ulteriori specifiche sul rischio terrorismo e criminalità, sulle aree dov’è richiesta particolare attenzione in considerazione degli aumentati profili di pericolo e tutta un’altra serie di avvertenze improntate alla cautela.
Tutto, insomma, stando alle indicazioni della Farnesina, fa chiaramente intendere che la Nigeria non è affatto una terra sicura ed è dunque decisamente sconsigliata come meta di eventuali viaggi.
Ma questo vale solo se i destinatari delle raccomandazioni sono i nostri connazionali “in uscita”; se, invece, si cambia la prospettiva e l’attenzione si sposta al tragitto inverso, la situazione di pericolo del luogo di provenienza pare non contare allo stesso modo.
E’ questa la raccapricciante conclusione che viene da trarre stando alla decisione presa poche settimane fa (e passata in sordina!) da quello stesso Ministero che, pur richiamando alla cautela i cittadini italiani, dissuadendoli dall’intraprendervi avventurosi viaggi se non strettamente necessari, ha viceversa deciso (di concerto con i Ministeri dell’Interno e della Giustizia) che la Nigeria può ora essere inclusa nella lista aggiornata dei “Paesi di origine sicuri”.
E’ una contraddizione evidente che, tuttavia, non si ferma solo alla forma giacché comporta pesanti e concrete conseguenze sul tentativo di centinaia di persone che, fuggendo da quel Paese, vorrebbero richiedere asilo e ottenere protezione restando sul territorio italiano.
Difatti, in base al salviniano ‘decreto sicurezza 1’ (D.L. n.113/2018 convertito con la L.132/2018), la classificazione come “Paese d’origine sicuro” comporta una presunzione di manifesta infondatezza delle richieste di protezione di coloro che provengono da un Paese così definito nonché una procedura accelerata per l’esame delle relative domande (che vengono infatti trattate entro sette giorni e valutate entro due: nemmeno il tempo di ricevere un’adeguata informativa legale, senza contare che l’eventuale ricorso va presentato entro quindici giorni dal diniego e non sospende automaticamente l’espulsione, a meno che non lo disponga il giudice).
Si parte, in sostanza, dal presupposto che nel Paese di provenienza ci sia sicurezza ed è dunque chi chiede protezione che – con una riprovevole inversione dell’onere della prova – dovrà invece dimostrare che non è così.
L’inserimento di uno Stato nell’elenco dei “sicuri” implica, dunque, di fatto – come spesso si è evidenziato - una “sterilizzazione” del diritto di asilo e, a seguire, si traduce in una ingiustificata discriminazione che parrebbe violare sia principi costituzionali (artt. 3 e 10 della Costituzione) che la Convenzione sullo status di rifugiato (Convenzione di Ginevra del 1951, art.3: “Gli Stati Contraenti applicano le disposizioni della presente Convenzione ai rifugiati senza discriminazioni quanto alla razza, alla religione o al paese d’origine”).
Pare, inoltre, poco trasparente e temibilmente politicizzata la circostanza che la decisione relativa a quali Stati debbano inserirsi nell’elenco sia rimessa al governo (con la formula del decreto interministeriale) senza alcun vaglio parlamentare. Gli stessi parametri in base ai quali– secondo il citato Decreto Sicurezza - deve essere effettuata la valutazione in ordine alla sicurezza del Paese (che consiste nell’assenza, “in via generale e costante”, di atti di persecuzione, tortura, pene o trattamenti inumani o degradanti e pericoli causati da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato) peccano di vaghezza: “l’ordinamento giuridico, l’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e la situazione politica generale”. In sostanza, sono i Ministeri coinvolti nella decisione sull’’etichettatura di sicurezza’ a dover valutare in che misura negli Stati di provenienza considerati è offerta protezione contro persecuzioni e maltrattamenti in base alla loro normativa e se essa rispetti i principi internazionali di tutela dei diritti umani, civili e politici nonché la Convenzione Onu contro la tortura.
Ora, tutto ciò fa sorgere il dubbio più che legittimo che questa – di fatto - “neutralizzazione selettiva” del diritto d’asilo discenda non tanto dalla verifica dell’effettivo rispetto dei diritti umani nei Paesi di origine, ma attenga, piuttosto, a valutazioni di politica di contenimento dei flussi migratori.
Se si andassero a consultare documenti come l’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo (che riporta tuttora la permanenza di sanguinosi conflitti dovuti alla presenza di terroristi islamici), l’Indice di terrorismo globale (Gti) 2022 (che la colloca al sesto posto), e anche il Rapporto COI (Country Of Origin Information) predisposto dalla Clinica legale International Protection of Human Rights del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre, apparirebbe infatti chiaro come la Nigeria non possa affatto considerarsi un “Paese d’origine sicuro”: il Boko Haram semina ancora violenza e sangue; la legislazione penale soffoca i diritti delle persone LGBTQI+ prevedendo il carcere e persino la morte – nelle regioni dove vigono codici basati sulla Sharia - nei confronti di chi è accusato di atti sessuali “contro natura”; gli attivisti LGBTQI+ subiscono tra l’altro abusi e torture da parte delle forze dell’ordine nelle carceri in cui sono rinchiusi; bambini e ragazzi sono vittime della tratta a scopo di sfruttamento lavorativo o reclutati nei conflitti armati; nelle “baby factories” (all’apparenza orfanotrofi, case di maternità o centri religiosi) le donne vengono in realtà trattenute contro la loro volontà, violentate e costrette a consegnare i propri figli, che vengono venduti illegalmente a genitori adottivi, utilizzati per il lavoro minorile e la prostituzione o per la tratta degli organi. E a tutto ciò si aggiungono fame e povertà estrema.
Se questa è la realtà volutamente ignorata da chi esprime una valutazione di sicurezza, allora non è da escludersi che presto saranno anche altri i Paesi che riceveranno il relativo bollino. E con molta probabilità si tratterà di quelli da cui proverrà il maggior numero di richieste di asilo. Ci si può scommettere.