Boris Johnson ha passato decenni ad agitarsi contro l’Unione europea e gli ultimi cinque anni a lottare per liberare il Regno Unito dalle catene delle regole di Bruxelles. Ora si trova nella scomoda posizione di sentirsi alla mercé dei leader di Bruxelles per ottenere il permesso di aderire ad un importante trattato internazionale, rischiando in caso contrario di devastare la multimiliardaria industria britannica dei servizi legali.
L’accordo in questione è la “Convenzione di Lugano”, ed essenzialmente stabilisce la giurisdizione dei tribunali nazionali, garantendo il riconoscimento legale e l’esecuzione di un vasto spettro di sentenze civili e commerciali nelle controversie transfrontaliere.
Londra è – o forse era - ampiamente considerata la capitale globale per la risoluzione delle controversie internazionali, grazie al sistema giuridico e alla comprovata eccellenza dei tribunali britannici. Tradotto in soldoni si tratta di un’industria altamente lucrativa che si occupa di tutto, dalle controversie familiari alle operazioni commerciali di grande portata. E un fallimento nel tentativo di adesione alla Convenzione potrebbe rappresentare una grave minaccia per il settore dei servizi legali del Regno Unito, oltre a creare difficoltà a tutti, dalle grandi aziende alla gente comune.
Il Regno Unito è uscito dal trattato come conseguenza della Brexit, ma ha formalmente chiesto di rientrare nell’aprile 2020. Tuttavia, mentre gli stati firmatari non UE (Islanda, Norvegia e Svizzera) hanno accettato la riammissione, la Commissione europea ha chiesto all’UE di rigettare la richiesta, spiegando che il blocco non era “in grado” di dare il pieno consenso all’adesione del Regno Unito.
Una frenata assai complicata per BoJo, sia politicamente che economicamente. Secondo la “Law Society”, nel 2018 i servizi legali britannici hanno aggiunto quasi 60 miliardi di sterline (83 miliardi di dollari) all’economia del Regno Unito.
Secondo Scott Devine, esperto di “The City UK”, organismo che rappresenta i servizi finanziari e professionali con sede nel Regno Unito, il settore impiega oltre 350.000 persone, con due terzi dei posti di lavoro fuori Londra. “La solida reputazione della legge inglese l’ha eletta come piazza preferita per gli affari e i contratti internazionali”.
La non ammissione è un’arma nelle mani di coloro che osteggiavano la Brexit, sempre più preoccupati sia per la mancata adesione alla convenzione di Lugano che per le scarse e nervose relazioni tra il Regno Unito e i paesi europei.
Per Dominic Grieve, ex procuratore generale di Inghilterra e del Galles, la preoccupazione è la perdita della “supremazia di Londra come centro di risoluzione delle controversie, guadagnata perché non c’è dubbio che il Regno Unito, ai tempi della UE, era visto come il luogo di risoluzione definitiva per controversie di ogni tipo. Ma il limbo in cui è precipitato il Regno Unito è la peggiore delle ipotesi possibili, poiché nessuno ha idea su ciò che accadrà. Non mi meraviglierei se la UE volesse assegnare alle giurisdizioni europee la possibilità di rilevare il ruolo dell’Inghilterra”.
Altri sono più ottimisti, confidando nella “fiducia nel sistema giudiziario britannico, visto come ‘incorruttibile’ e considerato esperto nel campo commerciale”. Catherine McGuinness, presidente della “City of London Corporation”, è convinta che a perdere di più sarà chi cerca giustizia, come i consumatori. “Sarei più preoccupata delle implicazioni per la gente comune e per le piccole imprese che operano a livello transfrontaliero. Le aziende più grandi saranno in grado di correre ai riparti, ma la persona che sta comprando qualcosa oltre confine o che sta considerando come divorziare dal proprio partner straniero scoprirà di non avere accesso ad un percorso pragmatico per chiarire la propria situazione legale”.
Ma la questione è spinosa: oltre agli alti costi aziendali, di reputazione e individuali, per il premier c’è un potenziale di imbarazzo personale, per l’architetto della Brexit, finire alla mercé degli stessi eurocrati da cui sostiene di aver salvato i britannici nel 2016, è un vero incubo politico.
“È politicamente scomodo per Johnson che la UE stia iniziando a reagire a quello che vede come il nostro cattivo comportamento - aggiunge Anand Menon, professore di politica internazionale al King’s College di Londra - molti Brexiteers hanno detto fin dall’inizio che anche assumendo posizioni dure, Londra non avrebbe provocato ritorsioni da Bruxelles. Questo è uno dei primi esempi in cui veniamo danneggiati a livello internazionale e la UE ha in mano le chiavi di tutto, pronta a farci capire quanto la nostra reputazione sia cambiata”.
La posizione ufficiale del governo britannico rimane l’intenzione di rientrare nella Convenzione di Lugano, secondo Downing Street qualcosa che non dovrebbe avere il controllo della UE. Nessuno ha avuto lo stomaco di rispondergli.
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