15 maggio 2018

Accessi, ispezioni e verifiche: le garanzie non valgono per il terzo

Autore: Paola Mauro
La Corte di Cassazione (Sez. 5-6), con l’Ordinanza n. 8890/2018, ha precisato che le garanzie previste dallo Statuto del contribuente nel caso accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali non si estendono al terzo a carico del quale emergano dati, informazioni o elementi utili per l’emissione di un avviso di accertamento.

La vicenda. La Commissione Tributaria Regionale della Toscana ha accolto l’appello proposto dalla società contribuente, avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per imposte dirette e IVA 2005, emesso dall’Agenzia delle Entrate in seguito alla contestazione della partecipazione a una frode “carosello”.

La CTR ha ritenuto dirimente il motivo di appello riguardante l’emissione dell’atto impositivo prima dello scadere del termine dilatorio di sessanta giorni previsto dall’articolo 12, comma 7, della Legge n. 212/2000, in assenza di motivi di urgenza (la disposizione recita: «Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza …»).

Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, lamentando la violazione e/o falsa applicazione di legge, per avere, la CTR, statuito l’invalidità dell’avviso di accertamento impugnato, senza tuttavia valutare la non pretestuosità dell’opposizione della società contribuente e quindi l’utilità concreta del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale.

La sentenza impugnata si è limitata a rilevare la violazione del termine di cui all'art. 12, comma 7, Legge 212/2000, non considerando che, trattandosi di accertamento a seguito di verifica "a tavolino", la disposizione non è applicabile con riguardo alle II.DD e che per quanto riguarda l'IVA, pur esistendo un principio generale di obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale derivante dal diritto dell’Unione, il giudice del merito deve in ogni caso effettuare la c.d. "prova di resistenza" ossia valutare, in concreto, l’"utilità" del contraddittorio endoprocedimentale stesso e quindi, in ultima analisi, la “non pretestuosità” dell’opposizione del destinatario della verifica fiscale.

Ebbene, per la Suprema Corte, l’impugnazione erariale merita di essere accolta ma per una ragione giuridica diversa da quella evocata.

L’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale – come sopra descritto - non riguarda il caso di specie, in cui vi è stato un accesso della G.d.F. presso una società terza, dal quale si sono tratti elementi utili al sostegno probatorio delle pretese creditorie erariali.

Secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità:
  • «In tema di accertamento tributario, le garanzie previste dall'art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, si riferiscono espressamente agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali eseguiti "nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali", e, quindi, sono assicurate esclusivamente al soggetto sottoposto ad accesso, ispezione o verifica, ma non si estendono al terzo a carico del quale emergano dati, informazioni o elementi utili per l'emissione di un avviso di accertamento» (Cass. n. 16354/2012, n. 23690/2013, n. 25515/2015, n. 19013/2016).

Facendo applicazione di questo principio, la Suprema Corte accoglie il ricorso del Fisco e cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla CTR della Toscana, in diversa composizione, per nuovo giudizio.
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