12 ottobre 2018

Atto annullato in CTP. Via libera al rimborso

Fermo cautelare del credito d’imposta chiesto dal contribuente

Autore: Paola Mauro
Per bloccare il rimborso di un credito d’imposta, il Fisco deve notificare al contribuente un provvedimento motivato quanto al requisito del fumus boni iuris, il quale non può ritenersi sussistente in presenza di una sentenza di primo grado che ha interamente annullato l’avviso di accertamento da cui discende il “controcredito” erariale. È il principio che si ricava leggendo la sentenza n. 3023/14/18 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Una società ha presentato, per il 2010, un interpello finalizzato alla valutazione di strumenti finanziari “derivati”, visto il passaggio dai principi contabili nazionali a quelli internazionali, il cui costo non era stato dedotto nel 2009. La contribuente ha proposto il ricalcolo del reddito imponibile per il 2010 mediante dichiarazione integrativa a favore. L’Agenzia delle Entrate ha negato tale possibilità, pur avendo riconosciuto l’esistenza del credito d’imposta. La Società, in conformità a tale risposta dell’Ufficio, ha proposto istanza di rimborso, con successivo sollecito, cui il Fisco ha opposto il silenzio-rifiuto, poi impugnato con successo dinanzi alla C.T.P. di Milano.

L’Agenzia fiscale ha resistito in giudizio, sostenendo che doveva disporsi la sospensione del rimborso ex art. 23, D.Lgs. 472/1997, posto che nei confronti della Società pendevano due giudizi contro avvisi di accertamento per gli anni 2007 e 2008.

La Società, dal canto proprio, ha dedotto che i ricorsi contro i due avvisi erano stati integralmente accolti in primo grado, e che l’Amministrazione finanziaria può bloccare il rimborso soltanto se vanta un credito liquido ed esigibile. Osservazione questa che ha fatto breccia presso la C.T.P. di Milano, che ha quindi accolto il ricorso e ordinato il rimborso.

Ebbene, all’esito del giudizio di appello, instaurato dall’Agenzia fiscale, la C.T.R. della Lombardia ha confermato la statuizione del primo Giudice, rilevando che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, il c.d. fermo amministrativo del rimborso può essere fatto valere anche nel giudizio d’impugnazione del silenzio-rifiuto, «a condizione, però, che sia adottato un formale provvedimento di sospensione; tale atto deve essere dotato dei requisiti prescritti dalla legge, compresa un'adeguata motivazione in ordine al "fumus boni iuris" della vantata ragione di credito da parte dell'Amministrazione, e portato a legale conoscenza dell'interessato, per garantirgli ogni tutela giurisdizionale» (Cass. trib. n. 23601/2011).

Osserva il Collegio di secondo grado, che la C.T.P. ha correttamente rilevato l'insussistenza delle condizioni ostative al rimborso, partendo dal presupposto che l'istituto della sospensione rappresenta un'applicazione, in ambito tributario, del fermo amministrativo previsto dall'art. 69 del R.D. n. 244 del 1923, tanto in applicazione del sopra riportato arresto.

Per i Giudici di appello, in particolare, l’Agenzia non ha fornito valide argomentazioni a favore della sussistenza del requisito del fumus boni iuris; requisito ben definito nella sentenza n. 11964/2012 della Cassazione che statuisce tra l'altro: «Il provvedimento di sospensione del pagamento (c.d. fermo amministrativo) previsto dal R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69, u.c., costituisce una misura cautelare, espressione del potere di autotutela della P.A., rivolto a sospendere, in presenza di una "ragione di credito" della P.A. stessa, un eventuale pagamento dovuto, a salvaguardia dell'eventuale compensazione legale dello stesso con un credito, anche se non attualmente liquido ed esigibile, che l'amministrazione abbia, ovvero pretenda di avere, nei confronti del suo creditore e la sua adozione richiede soltanto il "fumus boni iuris" della ragione di credito vantata dall'Amministrazione, restando, invece, estranea alla natura ed alla funzione del provvedimento qualsiasi considerazione di un eventuale ''periculum in mora", senza che detta disciplina ponga dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 24 Cast. Ne consegue che deve ritenersi legittimo il diniego di rimborso di IVA da parte dell'Amministrazione finanziaria, in dipendenza dell'adozione di provvedimento di fermo amministrativo delle somme pretese in restituzione, in ragione della pendenza di controversie tra le parti su rettifiche relative ad altre annualità d'imposta" […]. In sostanza, l'istituto del fermo, detto anche "contabile", può essere utilizzato dall'amministrazione anche a difesa di un proprio credito che non sia né liquido né esigibile, ma unicamente assistito dal "fumus boni iuris" in relazione alla pendenza di un qualsiasi procedimento dal cui esito deriverà il suo accertamento […]».

Nel caso di specie, i giudici di appello hanno rilevato che la Società ha ottenuto tre sentenze di primo grado, a sé interamente favorevoli, riguardanti altrettanti avvisi di accertamento. Tale rilievo, in estrema sintesi, ha fatto ritenere non sussistente il fumus boni iuris, quanto alla ragione di credito vantata dal Fisco; il che ha determinato il rigetto dell’appello erariale, con annessa condanna al pagamento delle spese di lite.
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